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Franco Pantarelli

Quando il giudice ha pronunciato la frase fatidica: «Le imputate sono assolte», loro si sono prodotte in un un «Oh» di gioia, si sono «date il cinque» e poi si sono precipitate ad abbracciare il loro avvocato, Norman Siegel, un’icona delle battaglie per i diritti civili a New York. Magari proprio «precipitate» no: l’età delle diciotto imputate andava dai 67 ai 91 anni, molte di loro camminavano aiutandosi col bastone e una addirittura con il walker, cioè quella specie di gabbia metallica su cui quelli malfermi sulle gambe si appoggiano passo passo. Ma questo non aveva impedito loro di dare vita a una singolare protesta contro la guerra in Iraq durante la quale avevano compiuto il reato per il quale erano finite sotto processo: l’ostruzione, nell’ottobre scorso, dell’ingresso dell’ufficio di reclutamento militare (uno di quelli che negli ultimi tempi «piangono» come il piatto del poker quando i giocatori non puntano) che si trova proprio a Times Square.
I reclutatori chiamarono la polizia, gli agenti arrivarono e intimarono alle signore di sgomberare. «Siamo in fila perché vogliamo arruolarci», risposero loro con il candore imparato in tanti anni di sit-in e proteste varie (alcune avevano avuto il loro «esordio» addirittura ai tempi del processo, poi finito con la condanna a morte, contro Ethel e Julius Rosemberg). Un po’ sconcertati ma decisi a fare il loro dovere, gli agenti le ammanettarono e le portarono al commissariato. Un imbarazzato funzionario, sentito il racconto dei suoi uomini, comunicò loro il reato per cui sarebbero state processate e le lasciò andare. La settimana scorsa, sei mesi dopo il fatto, ecco il processo. Condanna possibile: quindici giorni di prigione e 250 dollari di multa. La linea di difesa scelta da Norman Siegel, che di processi come questo ne ha affrontati a centinaia, era semplice: le diciotto anziane signore non ostruivano un bel niente perché non c’era nessuno che volesse entrare e che non fosse riuscito a farlo. Una tesi che non implicava le «grandi questioni» e che consentiva una conclusione rapida di questa storia, anche se naturalmente Siegel non ha mancato di sostenere che l’intento delle imputate era di «risvegliare l’apatia del pubblico nei confronti dell’immoralità, l’illegalità, la distruttività della guerra in Iraq». Il giudice ha accolto la sua tesi, trovando perfino il modo di «assolvere» anche i poliziotti che «sul momento non sapevano bene che fare, mentre io ho potuto permettermi il lusso di pensarci su e di determinare che quella di arrestare le imputate non è stata una buona idea».
Dopo gli abbracci all’avvocato, le signore sono andate a ricevere quelli delle centinaia di sostenitori che le aspettavano fuori: c’erano le altre componenti del loro gruppo, chiamato Granny Peace Brigade, brigata delle nonnine per la pace, accompagnate da figli e nipoti, nonché una piccola rappresentanza di un gruppo parallelo dell’Arizona chiamato Raging Grannies, nonnine arrabbiate, venuta a testimoniare la propria solidarietà. Insieme hanno cantato il loro inno, «Dio aiuti l’America», una parafrasi del famoso «Dio benedica l’America», che (anche se la traduzione non rende perché mancano le rime) suona così: «Dio aiuti l’America/ ne abbiamo molto bisogno/ perché i nostri leader sono degli imbroglioni/ e stanno rendendo il mondo ancora più cattivo». Del resto l’avvocato Siegel glielo aveva detto: «Il giudice ha detto che avete il diritto di protestare pacificamente. Quindi protestate». Loro di sicuro non si fermeranno.