Sulla sentenza di Fiorinda
24 Ottobre 2012
Elvira Reale
Riceviamo dall’UDI di Napoli:
L’esito ingiusto di uno dei tanti processi per femminicidio, quello a carico dell’assassino di Fiorinda ci parla di quello che è avvenuto in questi anni nelle menti dei giudici e nei tribunali.
Oggi ci troviamo davanti ad una nuova formulazione del delitto d’onore (abrogato nel 1981): il così detto delitto passionale o d’impeto. Quando l’assassino dichiara di non ricordare gli atti compiuti e di non essere stato cosciente al momento dell’atto omicidiario, il giudice chiama il tecnico ad attestare la presenza dell’incapacità di intendere e volere.
Il tecnico a questo punto “si sostituisce” al giudice e al linguaggio della giustizia si sostituisce il linguaggio tecnico, i cui fondamenti scientifici non sono sempre certi, che bypassa le prove e le testimonianze processuali e, attraverso improbabili diagnosi, giunge alla valutazione di incapacità di intendere e volere limitata all’evento.
Incapacità non di tutto, infatti l’omicida confesso può lavorare, avere famiglia e esser capace di ogni atto della vita quotidiana, ma incapace solo al momento dei fatti, dell’omicidio
Una così specifica e chirurgica, quanto improbabile, incapacità offusca ogni altra discussione su prove e testimonianze e soprattutto fa tabula rasa della consapevolezza sociale (tanto sostenuta dal Consiglio d’Europa, dalle Nazioni Unite e da tutti gli organismi internazionali politici e sanitari) che i femminicidi , gli omicidi compiuti dagli uomini contro le donne, sono delitti tutti meditati e premeditati dagli uomini.
Le radici di questi crimini affondano nei rapporti instaurati con uomini che considerano le donne oggetto e possesso personale. Il femminicidio non può essere assunto, da un tecnico di turno, per lo più incompetente nella violenza di genere, come sintomo di una incapacità di intendere e volere; esso è invece per lo più effetto di una precisa volontà ed intenzionalità maschile finalizzata a punire le “proprie” donne che disobbediscono e si allontanano dalla relazione violenta.
Le nuove forme striscianti del “delitto d’onore” che, avallate da tecnici che non hanno competenze specifiche, rendono la giustizia incapace di perseguire con regole e strumenti propri (prove e testimonianze) i reati contro le donne e di difendere le altre donne dai nuovi reati. Questo è il motivo per cui noi oggi ci troviamo a contare le morti ed a chiederci perché aumentano: aumentano perché il femminicidio viene tollerato, sottovalutato, considerato impropriamente delitto passionale (dai mass media) e d’impeto (dagli psichiatri e dai giudici) con l’esito di rafforzare negli uomini un senso di impunità ottenuto anche con la complicità oggettiva di un sistema psichiatrico-giudiziario che fa uscire il delitto d’impeto dalle aule di tribunale, dai processi giusti, dalle sentenze “provate” e lo affida all’osservazione ed alle cure di un contesto tecnico, salvifico solo per l’omicida.
Questa ultima intollerabile sentenza ci impone una riflessione e nuove iniziative.