«Sostenibilità ambientale per un mondo migliore»
17 Luglio 2003
Vandana Shiva al meeting di S. Rossore. «L’equa ripartizione dei beni non basta senza il rispetto dell’ambiente»
Fiamma Lolli
Vandana Shiva è in Italia per partecipare a «A New Global Vision», incontro mondiale su ambiente, cibo, salute, educazione e pace organizzato dalla regione Toscana nella tenuta di San Rossore. L’abbiamo incontrata in una pausa dei lavori.
Da anni lei non fa che ripetere le stesse cose su Ogm, sviluppo sostenibile, equa distribuzione delle risorse. Eppure l’attenzione dei media non cala…
Quando, nel 1987, cominciai ad occuparmi di questi temi nessuno, né nella comunità scientifica né in quella politica, ne aveva capito appieno la portata. Ci vollero cinque anni perché le cose iniziassero a cambiare, scientificamente e politicamente. Se l’attenzione non cala è perché quel che allora era solo un’anticipazione è diventato vero; basti pensare a ciò che sta succedendo in questi giorni nel vostro Piemonte. Del resto saper anticipare la realtà e prefigurarne gli sviluppi è una delle chiavi di volta del pensiero nonviolento.
Cosa vuol dire, oggi?
Promuovere e stabilire accordi multilaterali sempre più vasti e concreti che tutelino la biodiversità e favoriscano la sostenibilità ambientale per costruire un mondo migliore. Attenzione, però: parlare di multilateralità, come sempre più spesso fa l’Onu, presuppone che tutti i lati siano equamente forti. Rafforzare i singoli individui darà forti comunità, forti comunità come precondizione per nazioni forti, essenziali a una globalizzazione equa e giusta. Ma per realizzare questa giustizia dobbiamo saperla immaginare. Tradurre l’immaginazione in realtà è fondamentale per una globalizzazione nonviolenta, mentre la mancanza, l’incapacità di prefigurazione dei possibili scenari può solo portare nuove guerre.
Legare immaginazione e realtà? Su quale piano, in quale spazio?
La risposta è più semplice (non più facile) della domanda: bisogna agire prima che sia tardi. Se ci muoveremo in tempo, se grazie al dialogo riusciremo a prevenire conflitti distruttivi, non avremo più bisogno di nemici. A legare realtà e immaginazione è la nostra capacità di agire – e la sua necessità.
Quando dice «nostra» si riferisce all’umanità nel suo insieme o ad una differenza di genere? Crede che la capacità delle donne di agire in modo differente, questa differenza che si fa azione, sia consolidata nel movimento?
In movimento nulla è mai consolidato: credo però che dalla nostra visibilità non si tornerà indietro. Abbiamo conquistato più spazio perché abbiamo iniziato a farci sentire: se smettessimo lo spazio si chiuderebbe. Perciò la differenza di genere dovrà continuare ad essere uno dei temi centrali nel movimento. Non può né potrà esserci giustizia, né tantomeno pace, né ambiente, cibo, salute o educazione senza il contributo delle donne. Eguaglianza di possibilità, d’espressione, di diritti, anche questo è sostenibilità.
Sempre più spesso, tutelare biodiversità e produzioni alimentari tradizionali locali si traduce nel trasportarle a grandi distanze, su camion o aerei. Non crede che ci sia una contraddizione?
È questione di dimensioni: se torniamo da un viaggio con qualcosa di tipico da condividere con un amico, niente di male. Il problema nasce quando il trasporto a distanza diventa modello, regola, e smette di essere eccezione. Che senso ha produrre specialità fantastiche se poi inquiniamo per farle conoscere? Giusta distribuzione delle ricchezze non significa solo equa ripartizione dei beni ma anche corretta circolazione di merci prodotte in modo rispettoso dell’ambiente.
Quando si parla di giusto rapporto con la natura si finisce sempre per riferirsi al modo in cui la coltiviamo: sementi autoctone contro ogm, concimi organici invece che chimici… ma ambiente e cibo vogliono dire anche natura selvatica…
Natura selvatica e natura coltivata sono un po’ come femminile e maschile: il selvatico dovrebbe essere al centro, lì dove dovrebbero stare, più e più spesso, le donne, mentre il coltivato, così come il maschile, dovrebbe spostarsi un po’ di più verso il femminile, il selvatico. Venendo qui ho visto la Torre di Pisa e ho pensato che è una buona metafora di ciò che il cibo è o dovrebbe essere: un’opera d’arte, antico frutto dell’opera umana, solida e meravigliosamente «confezionata» eppure dolcemente piegata verso la terra.