di Paola Mammani


Sette, settimanale del Corriere della Sera del 12 marzo scorso, dedica un accurato servizio a una recente sentenza. Introducendo i commenti di Chiara Lalli, docente di Bioetica alla Sapienza di Roma, e di Carlo Rimini, ordinario di Diritto privato all’Università di Milano, il giornalista Flavio Bufi così riepiloga i fatti: «Nei giorni scorsi il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha accolto l’istanza di una donna che chiedeva di poter ricevere, nonostante il parere contrario dell’ex marito, l’impianto degli embrioni creati con il coniuge prima della separazione e poi crioconservati. La sentenza emessa dai giudici casertani è la prima in Italia che sancisce il diritto della donna a procedere alla procreazione medicalmente assistita anche se l’uomo con cui ha creato gli embrioni non vuole più diventare padre». Il giornalista riporta infine un commento della donna protagonista della vicenda giudiziaria: «[…] spero di aver fatto qualcosa anche per tutte le altre donne che si trovano nella mia stessa situazione».

Ora, che la signora possa essere contenta di quanto ha ottenuto è quasi ovvio dal momento che si è sobbarcata l’onere della procedura giudiziaria. Ipotizzo però che le abbia lasciato anche dell’amaro in bocca quel costringere un uomo a diventare padre controvoglia e per questo non comprendo perché ritenga addirittura di aver fatto qualche cosa di buono per le altre che si trovano nella sua stessa situazione.

Con l’augurio che abbia fatto davvero qualche cosa di buono almeno per se stessa e soprattutto per la sua creatura, credo non abbia fatto invece nulla di buono per me e per molte altre. Certo, io non ho voluto figli nella mia vita e non ho embrioni crioconservati da qualche parte, quindi il suo augurio non è rivolto a me. Ma appartengo al suo stesso sesso e questo ci lega comunque. Nell’inseguire il suo desiderio, al di là delle possibilità più immediate che la vita le ha offerto, lei si è consegnata alla tecnologia della procreazione e con questo ha consegnato anche alla legge e al diritto una delle forme e delle materie più intime e preziose che possano correre tra una donna e un uomo: quella contrattazione, quell’asimmetrico affidamento che li porta a decidere di diventare assieme madre e padre. E tutte ne soffriamo se il terreno della libertà viene eroso dalla forza del diritto.

Non le basta, amica mia, di avercela fatta, visto che così, con queste modalità lo ha voluto? Deve proprio figurarsi come un’eroina che afferma l’ennesimo diritto per sé e per altre? Per lo meno discutiamone.


(www.libreriadelledonne.it, 18 marzo 2021)

di Luisa Muraro


Non importa quanto ci è voluto, ma ci siamo! Finalmente si comincia a capire il senso di quel grande movimento che si è chiamato femminismo, nome convenzionale di una svolta in corso nella storia dell’umanità. Il nome vero e definitivo forse non esiste, forse dovremmo semplicemente pensare che l’evoluzione umana percorre un’orbita ellittica, come i corpi celesti, e che il suo corso ogni tanto si illumina di un nome che fa luce.

Del femminismo si comincia a capire che non è stato soltanto emancipazione né richiesta di uguaglianza e che sta non tanto sul piano dei diritti quanto nella consapevolezza di sé e dell’autorità che ci dà l’essere di sesso femminile. Si comincia a capire e a dire che il movimento delle donne va verso il senso libero della differenza sessuale e che ha origine nella qualità dei rapporti tra donne. Sono cose vissute e scoperte da decenni ma l’opinione dominante le rendeva invisibili con nomi sbagliati e interpretazioni fuorvianti. Quarant’anni fa, Carla Lonzi aveva intuito il cambiamento storico che si annunciava ma poche la capivano e nel suo diario parla di sé come di una “voce che grida nel deserto”.

Chi o che cosa ha fatto luce?

Giorni fa, Internazionale 1399 ha dedicato la copertina alle giovanissime, accompagnata all’interno da un lungo articolo tradotto dal settimanale britannico The Economist. L’ho letto e ho esclamato: finalmente! Quasi senza saperlo, il discorso mediatico comincia a rendersi conto del segreto racchiuso nel cambio di civiltà di ragazze baldanzose e insieme pensose, capaci di amicizie profonde e durature, che coltivano la fiducia reciproca, e nelle madri vedono delle alleate e dei modelli…

Non che tutto sia facile, del resto l’inchiesta dell’Economist non lo pretende. Né lo pretendo io. Quello che mi ha colpito è la selezione delle cose notevoli che viene fatta sul materiale raccolto nell’inchiesta. Mi ha colpito perché nelle testimonianze raccolte e ordinate (in cinque capitoletti: Identità diverse; Amiche; Figlie; Corpi; Attiviste) è riconoscibile il percorso fatto negli anni dal cosiddetto femminismo della differenza.

La luce viene da questa coincidenza, il cui significato mi sfida a tornare al lavoro del pensiero, nonostante l’età e la pandemia.


(www.libreriadelledonne.it, 11 marzo 2021)


L’8 marzo le lavoratrici di Radio Popolare hanno aderito allo sciopero internazionale delle donne, quindi non abbiamo sentito in giornata voci femminili se non quelle del loro comunicato collettivo e di un altro letto singolarmente da ciascuna a nome proprio. Quest’ultimo mi ha suscitato una profonda irritazione e dopo averlo sentito per l’ennesima volta ho mandato questa mail alla radio:


Care redattrici e collaboratrici di Radio Popolare,

sono una abbonata e assidua ascoltatrice di Radio Popolare, grazie per le iniziative e trasmissioni della radio, anche oggi 8 marzo senza di voi.

Tuttavia, vorrei esprimere il mio disappunto per la comunicazione di ciascuna di voi, tutta improntata al vittimismo.

Sentirmi dire da donne bravissime che con grande autonomia, signoria e professionalità gestiscono i più svariati programmi: “Sono… (nome) e aderisco allo sciopero perché non accetto di essere vittima della violenza maschile e delle discriminazioni di genere” mi ha veramente irritata. Mi sembravano parole che non rispecchiano la realtà. Perché giocare al ribasso? Non rende un buon servizio alle donne.

Con questo non nego affatto l’importanza di affrontare la violenza maschile, soprattutto da parte degli uomini che ci riflettono troppo poco.

Non ho l’indirizzario di tutte le redattrici, magari voi potete fare girare la mail, grazie!

Spero di risentirvi da domani con la solita grinta!


Traudel Sattler


(www.libreriadelledonne.it, 8 marzo 2021)

Le Citta Vicine


Nell’incontro on line delle Città Vicine sabato 27 febbraio 2021 è stata espressa unanimamente piena solidarietà a Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi, coppia nella vita e nell’impegno politico, amica delle Città Vicine e spesso presente agli incontri.


Da anni siamo a conoscenza e ammiriamo il continuo impegno politico di Lorena e Gianandrea nei confronti degli ultimi, donne e uomini sofferenti che cercano di fuggire da guerre, persecuzioni e fame attraverso la Bosnia, ma che vengono respinti dalle forze dell’ordine, picchiati, costretti al freddo, con piedi piagati per il lungo cammino. Lorena e Gianandrea lavano loro i piedi, curano le loro ferite, portano cibo e coperte sulla pubblica piazza di Trieste. Cercano di soccorrerli come possono. A volte hanno anche ospitato qualcuno, come una famiglia iraniana di etnia curda nella loro casa che è anche sede dell’associazione Linea d’ombra.

Qual è la loro colpa secondo la polizia che vi ha fatto irruzione perquisendola e requisendo il telefono e il computer personale di Gianandrea? L’assurda accusa è “favoreggiamento nei confronti degli sfruttatori”, i cosiddetti passeur, che prendono soldi dai migranti in cambio della promessa del passaggio attraverso i confini.

Noi pensiamo che la vera “colpa” sia quella che con il loro impegno mostrano l’inerzia e la disumanità dell’Europa nei confronti degli sfruttati e dei nuovi perseguitati. Invece è proprio grazie a loro e agli altri volontari, se la città di Trieste riesce in parte a riscattarsi dall’immagine di intolleranza e razzismo che mostra troppo spesso, come fa anche in questa occasione, costruendo, come dice Gianandrea Franchi: «una sorta di macchina del fango che si vuol gettare non tanto sulla mia persona ma su un lavoro collettivo di solidarietà.»

Ad aggravare “la colpa” di Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi c’è la loro convinzione spesso dichiarata che il loro non è un semplice gesto umanitario, ma un agire politico. Non è elemosina, non è l’ipocrita e rituale dichiarazione di cordoglio che troppe volte abbiamo ascoltato dopo le periodiche stragi di migranti, affogati nel Mediterraneo o morti di fame e freddo sulle strade della civile Europa. Da quando la solidarietà è diventata reato, da quando il gesto umano di tendere la mano allo straniero che chiede di poter vivere una vita degna di questo nome è diventato un crimine? Abbiamo dimenticato l’insegnamento cristiano delle sette opere di misericordia corporali? La vicenda ci interroga tutte e tutti su che cosa sono diventate le nostre città, intorno alle quali sono state erette mura invisibili, ma non meno invalicabili di quelle abbattute nell’’800.

Dichiariamo di condividere l’azione politica di Linea d’Ombra;

Di aderire all’iniziativa lanciata da Lorena, di costituire un “ponte di corpi”. È la convocazione di donne e uomini per chiedere l’apertura delle frontiere: il 6 marzo “un ponte di corpi” attraverserà l’Italia dal sud al nord e, nello stesso giorno, alcune donne si incontreranno sul confine più violento, quello della Croazia contro le violenze e i respingimenti di cui sono vittime ogni giorno donne e uomini della rotta balcanica;

Di impegnarci a contribuire alla raccolta di fondi per la loro difesa.

Le Città Vicine chiedono quindi agli organi competenti di fare immediata chiarezza sulla vicenda per poi poter riconoscere l’alto valore sociale e umano delle azioni di Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi che in questo impegno mettono a disposizione risorse personali e la propria vita.


(www.libreriadelledonne.it, 28 febbraio 2021)

di Paola Mammani


Le donne del PD hanno trovato intollerabile che non vi fosse almeno una donna a occupare uno dei tre posti da ministro assegnati al loro partito nel governo Draghi.

Nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, non una parola sulle loro competenze, su qualche particolare obiettivo da perseguire o su forme della politica da innovare o produrre che non fosse l’appello al rispetto delle quote, al 50 e 50, dunque alla semplice parità numerica con gli uomini, cui aspirano per il “solo” fatto di appartenere al sesso femminile che è la metà dell’umanità. Annosa, più che decennale frattura con buona parte del movimento delle donne che non ha mai aderito a questa forma semplicistica di misura politica, per più di una fondata ragione. Prima fra tutte che l’appartenenza al sesso femminile non richiede alcuna rappresentanza, unica ragione “logica” che giustifica, invece, la richiesta di ricoprire il 50 per cento degli incarichi. Se mai tale forma ha avuto senso per classi e ceti sociali, certamente non ne ha per le donne che, pur riconoscendosi prima di tutto reciprocamente in quanto donne, quando si tratta di votare seguono i propri interessi personali, sociali ed economici, o le loro idee, gli ideali, le ideologie. È un dato di fatto che le donne non hanno mai votato per le loro simili solo perché donne, altrimenti avrebbero garantito loro il 50 per cento dei voti, trattandosi della maggioranza dell’elettorato. Anche solo questa constatazione avrebbe dovuto farle rinsavire, queste donne del PD e quelle che le hanno precedute. Se non è stato l’elettorato femminile, prima di tutto, a dare alle candidate il 50% delle preferenze, quando erano esprimibili, a che titolo richiedere una pari quota agli uomini? E comunque, passi pure la richiesta di pari e alternata presenza nelle liste elettorali ora che le liste sono “bloccate”, alla fine è faccenda che riguarda loro, i loro partiti e gli uomini con i quali hanno contrattato. Ma che in nome della parità, e cioè della sola appartenenza al sesso femminile, pretendano addirittura di diventare ministre, è cosa che quasi indigna, specialmente in questi tempi di pandemia in cui tanta, ben visibile autorità femminile si è manifestata nella società, dalle infermiere alle mediche, alle ricercatrici, alle scienziate. Anche il tono quasi piagnucoloso delle rimostranze rischia addirittura di minare la loro autorità alla radice, mentre è sotto gli occhi di tutti l’autorità esercitata nel mondo dalle donne sulla scena politica, in particolare dalle tre che sono state capaci di attivare le mediazioni necessarie a traghettare l’Europa verso il Recovery fund. Potrebbero quindi guardare con interesse alle parole di Christine Lagarde che avendo raggiunto posizioni di massimo potere, in un’intervista a Io Donna del 2 gennaio scorso, riconosce che proprio l’essere donna le ha consentito di raggiungere e mantenere con successo ruoli di primissimo piano.

Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi consigliano alle donne del PD di “fare squadra” all’interno delle correnti cui appartengono. La proposta ha il pregio di suggerire qualche cosa che ha a che fare con la politica, quella vera. Le donne del PD, infatti, sembrano ignorare del tutto le conquiste fondamentali del pensiero politico delle donne. Non si approda con autorità sulla scena politica semplicemente perché donne, ma solo se tale differenza diventa portatrice di un significato di riconosciuto valore per sé e per altre che per questo ti appoggiano dentro e fuori il partito. L’autorità che non hanno, che non si sono guadagnate fra le loro simili, non c’è nessuna quota che può dargliela. Grinta e pervicace presenza sulla scena pubblica sembrano contraddistinguere solo le infatuate dei diritti a tutti i costi, che riescono così a cancellare la differenza sessuale. Per esempio, quelle, parlamentari e non, che si lanciano spedite a difendere un presunto diritto a far figli purchessia, con la cosiddetta gpa, gestazione per altri, che rende le donne meri recipienti di creature: un affronto alle loro simili e al buon senso, misoginia spicciola, altro che politica.


(www.libreriadelledonne.it, 24 febbraio 2021)


Dicono che Nadia Riva sia scomparsa, Nadia Riva è morta. Ed è viva nel nostro ricordo e ci resterà. Noi della Libreria delle donne di Milano vogliamo tenerla viva nel ricordo di quelle che l’hanno conosciuta e vogliamo farla conoscere ad altre.

La prima cosa che ci viene in mente è un grazie per un gesto preciso che lei ha fatto recentemente e che significa il suo sostegno e la sua amicizia per la Libreria delle donne: quando abbiamo chiesto alle donne più vicine a noi di diventare socie per contrastare i problemi creati dal Covid, è stata tra le prime a farsi socia. Inoltre per la Libreria faceva stampare a sue spese cartoline umoristiche da dare in omaggio alle lettrici. Le conserviamo e ne stamperemo ancora per tutte quelle che vorranno averle.

Non è l’ultima volta che ci sentirete parlare di Nadia. Non possiamo più andare a trovarla nella sua casa di Col di Lana, ma il ricordo di lei e di quel luogo non si lascerà cancellare.

Sicuramente, a breve, organizzeremo un incontro dedicato a lei e lo saprete da questo sito.


Ciao, Nadia


le librarie, le clienti, le lettrici, le scrittrici


(www.libreriadelledonne.it, 10 febbraio 2021

di Antonietta Berretta


Seguendo l’ispirazione di Beatrice Venezi, direttora d’orchestra e autrice, fra le altre sue opere, di Le sorelle di Mozart, libro nel quale scrive di molte musiciste mai ricordate, voglio ricordare i due libri scritti da Antonietta Berretta, docente al Conservatorio di Novara, intitolati “Inaudita musica”, pubblicati nel 2012 e dedicati rispettivamente alle compositrici del ‘600 e del ‘700. Antonietta inoltre ha organizzato concerti sulla loro musica, mostre itineranti, conferenze, presentazioni. L’obiettivo politico di Antonietta, oltre a quello di far conoscere le compositrici,è stato quello di far suonare, nei conservatori, negli istituti musicali, la loro musica. Il Conservatorio di Novara, sul portale www.inauditamusica.consno.it ha raccolto tutto ciò che è stato prodotto nel corso della ricerca sulle compositrici, a partire dai suoi esordi e dalle motivazioni fino ai convegni, concerti, eccetera.

L’11 dicembre 2012 è stata invitata al Circolo della rosa Libreria delle donne di Milano, dove ha tenuto la bella conferenza, che riproponiamo.

(Marirì Martinengo)


Sabato 11 dicembre 2012, ore 18.30

Libreria delle Donne, Circolo della rosa

Desiderare la musica daltre. Viaggio tra le compositrici

di Antonietta Berretta


Ringrazio la Libreria delle donne che ha accettato di dedicare questo pomeriggio alla musica delle compositrici e in particolare alla presentazione del Cd I suoni Bianchi della notte e ringrazio soprattutto Luciana Tavernini che si è adoperata per organizzare l’iniziativa.

Qualche mese addietro delle giovani ricercatrici dell’Università della Sapienza di Roma hanno scritto una lettera aperta al Ministro dell’Istruzione e della Ricerca manifestando il disagio e il disappunto in seguito alla lettura delle indicazioni sulle prove d’esame e i relativi programmi contenuti nel bando del concorso in programmazione. «Negli elenchi di autori che i / le candidate dovrebbero conoscere, per la filosofia nemmeno una donna, per la letteratura solo Elsa Morante, per la storia non c’è alcun accenno alla storia delle donne e alle questioni di genere, tra i fatti notevoli del Novecento non è menzionato il femminismo, per l’educazione linguistica non c’è nessun riferimento al linguaggio sessuato». Ancora persiste lo stesso atteggiamento del passato che dava visibilità solo a qualche donna di valore. Penso per esempio a Raffaello Sanzio, che pare abbia inserito in un immaginario pantheon, formato da filosofi, la figura di Ipazia d’Alessandria. Mi riferisco all’affresco La scuola di Atene, realizzato tra il 1509 e il 1511 e conservato nella Stanza della Segnatura presso i Musei Vaticani a Roma.

Sono Antonietta Berretta e ho contribuito assieme ad altre, tra cui Beatrice Campodonico, alla fondazione di Magistrae Musicae, un’associazione che abbiamo voluto per valorizzare e promuovere la figura della donna artista dall’antichità ai nostri giorni. Attraverso concerti, spettacoli, stages, incontri, convegni, congressi, seminari, mostre vogliamo diffondere, in particolare, la musica delle compositrici affinché venga, studiata, ascoltata ed eseguita durante esami, saggi e concerti per la creazione, all’interno della cultura musicale, di una visione del mondo che si richiami alla sapienza e alla creatività femminile. S’ispira al progetto trasversale In-audita musica, da me ideato nel 1998 (e realizzato con il sostegno di tutto il “Conservatorio Guido Cantelli” di Novara) e selezionato come “buona pratica” per illustrare l’Anno Europeo della Creatività e dell’Innovazione (2009) dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.  
Da quando sono in pensione sto dedicando in misura maggiore il mio tempo all’associazione e organizzo assieme a Beatrice Campodonico e a Rosalba Montrucchio, che ne è la presidente, degli eventi nella provincia milanese. A Pessano con Bornago per il terzo anno consecutivo abbiamo partecipato all’iniziativa del Comune, denominata Autunno Classico, con concerti dedicati alle compositrici. Abbiamo partecipato anche alla Fiera di Sant’Apollonia con un concerto di Ottoni del gruppo Brianza Quintet Brass che ha eseguito musiche di Antonia Sarcina. Abbiamo allestito uno stand che conteneva in esposizione una selezione di foto di compositrici di tutto il mondo e compositrici viventi in Lombardia, i programmi di sala, le locandine di tutti i concerti realizzati, libri e CD dedicati alle compositrici e alle loro musiche che per tutto il giorno hanno allietato lo spazio concessoci. Anche se abbiamo rischiato di rimanere congelate (eravamo all’aperto e il 12 febbraio dell’anno scorso a Pessano con Bornago la temperatura era sottozero), siamo state contente dell’interesse suscitato. Siamo fiere che a Pessano e dintorni i nomi e le musiche delle compositrici del passato (Mel Bonis, Emilie Mayer, Maria Teresa Agnesi, Cécile Chaminade, Matilde Capuis, Maria Malibran, Pauline Viardot, Fanny Mendelssohn, Clara Schumann) e del presente (Beatrice Campodonico, Rita Portera, Barbara Heller, Laura Shur) circolino e il pubblico che ci segue, cresca di anno in anno.

Frequento la Libreria delle donne da parecchio tempo e ho delle belle relazioni con Luciana Tavernini, Marina Santini e altre, soprattutto con Marirì Martinengo, che mi ha suggerito nel 1998, quando allora mi accingevo a fare una ricerca sulle compositrici del Seicento, di utilizzare uno sguardo diverso nell’affrontare il canone biografico delle compositrici, prendendo a prestito gli strumenti del pensiero della differenza sessuale. Il lavoro sfociò in una mostra con catalogo, In-audita musica. Le compositrici del 600 in Europa; credevo di impersonare il ruolo di paladina delle compositrici dimenticate dalla storia, invece scoprii di essere alla ricerca delle mie origini. Il mio desiderio era conoscere le antiche matriarche della musica (non solo le cantanti e le strumentiste) perché, pur subendo la fascinazione operata dai grandi musicisti, mi sentivo sola in un mondo di uomini. I libri di testo dei conservatori su cui ho studiato la storia della musica citavano (ancora citano?) solo quattro nomi di compositrici: Francesca Caccini, Antonia Padovani Bembo, Barbara Strozzi e, celata nel gruppo dei Sei, Germaine Tailleferre. Frequentando donne che mi hanno indicato la lettura di libri che narravano un’altra storia scoprii che erano esistite le scienziate, le poetesse, le scrittrici, le filosofe, le compositrici. Sia che abbiano vissuto nei monasteri o nei conventi, nelle corti o nei salotti hanno contribuito a creare cultura lasciando la loro impronta anche in musica. Studiando il Seicento italiano m’imbattei nelle suore compositrici: un fenomeno particolare che in quelle dimensioni non si è più ripetuto nella storia. In quel secolo, in Italia, c’era sia la pratica della monacazione forzata sia la consuetudine, da parte delle ragazze che rifiutavano il matrimonio, di vivere nei conventi o nei monasteri per stare in relazione con altre donne: qui con l’aiuto economico delle famiglie studiavano canto, composizione, strumento oltre che meditare e pregare. Grazie alla loro creatività e intelligenza hanno reso i luoghi di clausura in pregevoli laboratori culturali. Il materiale documentario del catalogo Inaudita musica. Compositrici del 600 in Europa (presente in libreria) e della relativa mostra itinerante (conservata presso il Conservatorio di musica di Novara) è costituito dalle biografie di quaranta compositrici tra cui spiccano Caterina Assandra, Chiara Margherita Cozzolani, Rosa Giacinta Badalla, Francesca Caccini, Antonia Bembo, Isabella Leonarda, Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre, Barbara Strozzi. Tutte europee (molte italiane e soprattutto dell’area milanese), laiche e religiose, nate o comunque in attività nel Seicento. Hanno scritto musica vocale e strumentale, sacra e profana, da ballo e da teatro. Il tutto è arricchito da bibliografie, immagini di frontespizi, spartiti e tavole di opere di pittrici coeve (Artemisia Gentileschi, Sofonisba e Lucia Anguissola, Giulia Lama, Louise Moillon, Magdalena de Pas, Lavinia Fontana, Rosalba Carriera, Judith Leister ecc.)… Fu un lavoro che mi gratificò molto. Infatti La mostra ha percorso l’Italia da Nord a Sud riscontrando ovunque benevoli consensi.

Quando nel 1999 venne nel Conservatorio di Novara, dove io insegnavo, Beatrice Campodonico, in veste di compositrice ospite durante un concerto in cui veniva interpretato il suo brano, La leggenda di Vassilissa, dalla chitarrista Maria Vittoria Jedlowski, io ne fui favorevolmente impressionata: dopo un anno di letture sulle compositrici vissute nel passato finalmente ne vedevo una in carne e ossa! La prima cosa che feci, dopo il concerto, fu una domanda che col senno di poi mi è sembrata stupida: cosa faceva prima di comporre? Come chiedere a una pittrice cosa facesse prima di dipingere o a una scrittrice prima di scrivere. Però a me sembrava talmente strano che Beatrice Campodonico fosse una donna senza l’aureola, senza superbia, anzi preoccupata per aver lasciato a casa la sua bambina con la febbre, e che nello stesso tempo fosse anche compositrice. L’anno successivo fu trasferita come docente di ruolo al Conservatorio di Novara e la sua continua presenza diede un grosso contributo al progetto In-audita musica divenuto intanto linea guida del conservatorio e con lei fece l’ingresso nell’istituto la musica contemporanea. È noto come i programmi scolastici fino a pochi anni or sono fossero fermi agli ultimi anni dell’Ottocento-primi del Novecento. L’orecchio, abituato alla musica tonale, non gusta immediatamente le nuove sonorità, non capisce i nuovi linguaggi dove manca il discorso compiuto, dove manca il rapporto gerarchico tra i suoni più o meno importanti, dove gli accordi dissonanti non sono più obbligati a risolvere su quelli consonanti. Da allora la musica contemporanea divenne per me meno ostica. Con l’avvio di seminari e laboratori tenuti direttamente dalle compositrici contemporanee, italiane e straniere, ospiti del conservatorio, studenti e docenti si dovettero misurare con lo studio delle nuove musiche che venivano interpretate durante i concerti pomeridiani.

Il CD I suoni bianchi della notte contiene brani che sono stati pensati per l’infanzia ma in effetti sono anche per l’età adulta. Magistrae Musicae lo ha presentato a Pessano con Bornago il 25 novembre 2012 dove abbiamo registrato il favore del pubblico che ha apprezzato particolarmente la combinazione musica e parola. C’è stata una mamma, restia a frequentare i concerti, ma per altri motivi presente in sala col suo bambino, che ha subito la fascinazione emanata dalle musiche suonate con la chitarra, col flauto e con il violoncello. Il suo piccolo stava seduto a terra di fronte agli strumentisti con gli occhi spalancati e attenti. Il linguaggio delle musiche incise (a parte quello più vicino ai canoni tradizionali di Luisa Indovini Beretta, l’ideatrice del progetto, venuta a mancare quando il Cd era ormai prossimo alla realizzazione), è vario: ogni compositrice, Beatrice Campodonico, Gabriella Cecchi, Annamaria Federici, Anna Gemelli, ha il proprio. I suoni, non ordinati secondo una gerarchia rigida, formano oggetti musicali che si frantumano in una moltitudine di incisi evocanti atmosfere, sensazioni, richiami. Le partiture a volte contengono una legenda contenente i segni esplicativi della effettistica usata che sostituiscono totalmente o in parte il pentagramma, invitando l’interprete a realizzare effetti particolari, a volte veri e propri rumori realizzati col proprio strumento e/o con la voce.

Spesso si pubblicizzano eventi che vedono coinvolte le compositrici con la formulazione “musica al femminile”. Come se la musica, naturalmente maschile solo in determinate occasioni possa essere declinata al femminile. Nel Dizionario sessuato della lingua italiana è scritto: «Suggeriamo di non cadere nel tranello di adottare, sia pure a “fin di bene”, forme che si stanno diffondendo ma continuano a essere discriminatorie come “giudice donna”, “giudice in gonnella”, “scrittura al femminile” in luogo di “la giudice” e “scrittura femminile”». «La musica non ha genere, cioè non ha sesso, anche se la percezione del mondo femminile è diversa da quella maschile». Forse solo nei testi che accompagnano la musica è rintracciabile il pensiero maschile o femminile. La scrittrice Catherine Clément sostiene che l’opera lirica nella maggior parte dei grandi autori narra e canta la disfatta delle donne: «L’opera è una faccenda di donne. No, non una versione femminista; no, non una liberazione. Tutt’altro: le donne soffrono, lanciano acute grida, muoiono». Il Teatro alla Scala di Milano ha continuato per tutto l’Ottocento, il Novecento e anche adesso, a veicolare il patriarcato e la sua misoginia. Oltre a rappresentare la musica di compositori, privilegia i grandi direttori d’orchestra, i grandi scenografi e registi, tutti uomini, con qualche eccezione (Emma Dante, regista della Carmen, 2011). Come se non ci fossero opere scritte da donne. Molte compositrici del Settecento hanno nel loro catalogo opere teatrali (drammatiche e comiche), balletti, drammi pastorali, oratori, oltre a opere strumentali e vocali. Ricordo la milanese Maria Teresa Agnesi Pinottini, Maria Rosa Coccia, Maria Theresia, contessa di Ahlefeldt, Elizabeth Berkeley, margravia di Anspach, Marie Emmanuelle Bayon Louis, Amélie Julie Candeille, Caroline Wuiet e altre. (Nel catalogo della mostra In-audita musica. Le compositrici del Settecento in Europa – presente in Libreria – a cura di Antonietta Berretta, Patrizia Florio e Pier Giuseppe Gillio, Istituto Superiore di studi Musicali “Conservatorio Guido Cantelli” di Novara, 2004, sono state selezionate quaranta profili di compositrici). Anche nell’Ottocento non mancarono musiciste che scrissero opere liriche: Maria Bottini-Andreotti, Carlotta Ferrari da Lodi, (soprannominata La Saffo italiana, La regina del canto e della lira, Bellini in gonnella, La doppia stella di Lodi). Un’artista, quest’ultima, che si cimentò oltre che nella musica (compose diversi lavori tra cui i melodrammi Sofia e Eleonora dArborea) anche nella poesia (scrisse quattro volumi di Versi e Prose). Nonostante le sue opere siano state rappresentate, il suo nome cadde ben presto nell’oblio. Stessa sorte per Vincenza Garelli della Morea in de Cardenas, Gabrielle Ferrari, Giulia Recli…

Nel 2008, sempre al Conservatorio di Novara, avevamo organizzato il Convegno In-audita musica. Intrecci femminili tra armonia e melodia, cui invitammo Suzanne Cusick che ha avuto il merito di far intervenire il femminismo nella politica della sua disciplina invitando i suoi e le sue colleghe a utilizzare uno sguardo diverso nell’affrontare il canone biografico della musicologia. Prendendo a prestito la storia delle donne e citando i testi di Adriana Cavarero e di Luce Irigaray, la Cusick sostiene che nella ricerca e nella presentazione delle biografie di uomini e donne non si possono usare le stesse categorie che rimandano a un neutro universale (uomo/donna) che è invece maschile. Infatti, nel suo lavoro di ricerca sulla figura di Francesca Caccini, compositrice e cantatrice del diciassettesimo secolo, perplessa perché non trovava sufficienti notizie biografiche (dato il peso che questa donna aveva presso la corte medicea) volse lo sguardo sui luoghi frequentati dalle donne. Uno di questi fu la corte femminile della reggente del Granducato di Toscana, Cristina di Lorena. «Scoprii una rete di relazioni e patronage che legava le donne delle classi nobiliari tra di loro e con la loro granduchessa, poiché era lei stessa, più dei loro padri e fratelli, a gestire la negoziazione, i dettagli cerimoniali, il consumo, la buona riuscita e lo scioglimento dei loro matrimoni […]». «[…] un particolare sistema sesso/genere, che ho chiamato patriarcato femminile». Qui le notizie si moltiplicano e rendono conto di una realtà ricca e variegata da cui si staglia prestigio, creatività e libertà delle donne. «Ma soprattutto, sotto le duplici spinte del pensiero postmoderno, a un livello più generale, e della teoria femminista di Luisa Muraro, Adriana Cavarero e la comunità filosofica Diotima, mi sono proposta di sfidare le regole della biografia musicologica, scrivendo di Francesca, in un modo che sottolineasse la relazione tra la sua storia e le altre storie delle donne della corte medicea». A quel convegno invitammo altre personalità di spicco della storia della cultura femminista (tra cui Marirì Martinengo, Annamaria Cecconi, Silvana Bartoli) e della musicologia (Pinuccia Carrer). Presente anche all’iniziativa della Libreria delle donne, Pinuccia Carrer, docente di storia della musica del Conservatorio “G. Verdi” di Milano, ritenuta una delle massime esperte italiane per quanto concerne la ricerca musicologica nell’ambito delle compositrici, ha introdotto nell’attività didattica la musica delle donne. È autrice insieme a Barbara Petrucci del libro Donna Teresa Agnesi compositrice illustre (1720-1795), Genova, Ed. San Marco dei Giustiniani, 2010.


Breve bibliografia (1980-2012) relativa a scritti sulle compositrici

a cura di Magistrae musicae (rosalba.magistraemusicae@fastwebmail.it)


Vinay-Lanza, Storia della musica, Il Novecento II, Torino, EDT, 1980, vol. 10

Roland de Candé, Storia universale della Musica, Roma, ed. Riuniti, 1980

Alberto Basso (diretto da) Deumm, Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, Torino, Utet 1985-90

Di Mioli, La musica nella storia, Bologna, ed. Calderini, 1986

Carolyn Gianturco, Caterina Assandra suora compositrice in La musica sacra in Lombardia nella prima metà del Seicento: Como 31 maggio-2 giugno 1985 a cura di Alberto Colzani, Andrea Luppi, Maurizio Padoan, Como, A.M.I.S., 1986

Patricia Adkins Chiti, Almanacco delle virtuose, prime donne, compositrici e musiciste dItalia, Milano, De Agostini, 1991

Enzo Restagno (a cura di), Gubajdulina, Torino, E.D.T., 1991

Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, In unaria diversa. La sapienza di Hildegarda di Bingen, Milano, A. Mondadori Editore, 1992

Elena Cazzulani-Angelo Stroppa, Carlotta Ferrari da Lodi. Poetessa e musicista. Commento allopera musicale di Marco Emilio Camera, Orio Litta, L’immagine, 1992

B. S. Anderson- J. P. Zinsser, Le donne in Europa. Nelle corti e nei salotti, Roma-Bari, Laterza e figli, 1993

Julie Anne Sadie and Rihan Samuel (edited by), The New Grove Dictionary of Women Composers, London, Macmillan, 1994

Patricia Adkins Chiti, Donne in Musica, Roma, Armando Editori, 1996

Marirì Martinengo, LArmonia di Hildegarda, in Marirì Martinengo, Claudia Poggi, Marina Santini, Luciana Tavernini, Laura Minguzzi, Libere di esistere. Costruzione femminile di civiltà nel Medioevo europeo, Torino, SEI, 1996

Maria Tabaglio (a cura di), Hildegarda di Bingen, Ordo Virtutum, San Pietro in Cariano, Il Segno dei Gabrieli Editori, 1999

Romano Becatti, Nella Musica, Milano, Fabbri editori, 1993, v. 1

Paolo Monticelli, Isabella Leonarda, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1998

Musica e realtà, Rivista, n. 58, Pisa, ed. Lim, 1999

Francoise Giraud, Alma Mahler o larte di essere amata, Garzanti 1989

Antonietta Berretta (a cura di), In-audita musica. Compositrici del 600 in Europa, Conservatorio “G. Cantelli” di Novara, catalogo della mostra, Novara, Edizioni Et, 2000

Patricia Adkins Chiti (a cura di), Una visione diversa, Milano, Mondadori Electa, 2003

Candida Felici, Maria Rosa Coccia “Maestra Compositora Romana”, Roma, Editore Colombo, 2004

Antonietta Berretta, Patrizia Florio, Pier Giuseppe Gillio (a cura di), In-audita musica. Compositrici del Settecento in Europa, catalogo della mostra, Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara, Torino, Seb 27, 2004

Adriana Mascoli, Marcella Papeschi, Fanny Mendelssohn. Note a margine, San Cesario di Lecce, Pietro Manni s.r.l., 2006

Susan McClary, George Bizet. Carmen, Milano, Rugginenti Editore, 2007

Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, rue Ballu, 2007

Fondazione Adkins Chiti, Le Lombarde in musica, Roma, Editore Colombo, 2008

Chiara Sirk, Candace Smith (a cura di), Soror mea, Sponsa mea, Arte e musica nei conventi femminili in Italia tra Cinquecento e Seicento, Padova, Il Poligrafo casa editrice, 2009

Pinuccia Carrer, Barbara Petrucci, Donna Agnesi compositrice illustre, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2010

Luca Rognoni, Luigi Dallapiccola (a cura di), Gustav Mahler. Ricordi e lettere, Torino, Il Saggiatore, 2010

Alma Mahler, La mia vita, Roma, Castelvecchi, 2012

Laura Zattra, Musica e famiglia. Lavventura artistica di Renata Zatti, Padova, Coop. Libraria Editrice Università di Padova, 2010

Laura Zattra, Renata Zatti. Invenzione musicale, Padova, CLEUP, 2012

di María-Milagros Rivera Garretas


Stamane, a un giornale radio in un orario di grande ascolto, il presentatore e direttore si è lanciato in pista con la sua “notizia” della Triplice Discriminazione delle Donne di Gaza, così, con tono di maiuscole. La prima, naturalmente, era il loro essere donne, la seconda la loro razza e la terza non la so perché, infastidita, ho spento automaticamente la radio. Poteva essere l’età e il suo contrario, la maternità e il suo contrario, la povertà e il suo contrario, la guerra degli uni e degli altri che non ha il contrario, qualsiasi cosa… Nemmeno una parola sugli autori del delitto. È forse la discriminazione delle donne automatica, ambientale, teorica?

Basta con l’economia della miseria femminile. Basta presentare le donne come disgraziate per natura. Perché tutto questo è misogino, è odio verso le donne, che è ciò che significa la parola “misoginia”. Esistono i delitti d’odio? Ci sono delitti senza delinquenti? Non sono uomini gli autori della discriminazione delle donne? Denunciare delitti senza nominare chi li commette finisce per essere, a forza di ripetizione, accusare le vittime. Alle donne, a me, fa male; mi danneggia gravemente che mi presentino così, sui mass media, nelle leggi, nella letteratura, nel cinema, nella scienza, dovunque. Se non è un delitto accusare le vittime coprendo quelli che le rendono vittime, che cos’è un delitto di insabbiamento?

Il discorso della miseria femminile mi paralizza politicamente, spingendomi verso il cammino perverso dell’odio. Mi lesina e mi riduce il piacere di essere donna, uno dei più grandi piaceri della vita. Mi mette di cattivo umore e mi intristisce. E gli uomini, per giunta, neanche capiscono che si tratta di loro, compreso il presentatore della notizia. Sono esperti nel naturalizzare i loro delitti, il che non so se non sarà già un delitto. Quello che so è che i delitti contro il piacere delle donne esistono – l’ho appreso da una giurista, Ana Silva Cuesta – e sono perpetrati da uomini, anche quando, raramente, li commettono donne; per esempio, la clitoridectomia.

Urge una rivoluzione simbolica che sia all’altezza della fine del patriarcato, fine molto rumorosa, messa al Mondo dalle donne e dal femminismo, di un regime millenario di dominio degli uomini sulle donne. Un dominio imposto da loro sul piacere femminile proprio – il piacere clitorideo – e sulla maternità. Urge una rivoluzione simbolica che fermi la voce degli uomini quando, a volte buonisti, altre sorridenti, ci presentano come discriminate, perdenti, miserabili. È la denuncia senza delinquente a essere miserabile. Perché le denunce maschili di discriminazione, tutte le denunce senza accusato, non sono vere denunce ma tentativi di ravvivare le ceneri del patriarcato intristendo o provocando le donne.

Tutte queste voci maschili della miseria femminile, buoniste o no, debilitano l’eccellenza femminile e censurano la cultura dell’eccellenza femminile. Non sono voci innocenti. La cultura dell’eccellenza femminile fa paura a chi non ama le donne. Bisogna sapere e ricordare più e più volte che la donna viene sempre prima, che la madre è sempre prima: che lei è il principio di tutto e la creatrice del Tutto.


(Traduzione dallo spagnolo di Clara Jourdan, www.libreriadelledonne.it, 26 gennaio 2021; per il testo originale vai a: http://www.ub.edu/duoda/web/es/textos/10/276/)

di Daniela Dioguardi


Ci sembra improbabile, quasi incredibile, che navigati politici con alle spalle lunghi anni di esperienza non conoscano raccomandazioni e leggi che in Italia impongono in modo più o meno prescrittivo, una percentuale di presenza di entrambi i sessi nelle istituzioni e nei governi. Ancora meno crediamo che Musumeci, presidente della Regione Sicilia, non prevedesse, dopo decenni di lotte delle donne in questa direzione, che avrebbe immediatamente sollevato un vespaio di giuste critiche varando una giunta monosessuata al maschile, vista la situazione disastrosa della nostra regione, risultato di una tradizione quasi ininterrotta di governi di soli uomini. Infatti, se analizziamo le giunte delle due più grandi città siciliane, Palermo e Catania, pur con amministrazioni politicamente di segno diverso, ci rendiamo conto che almeno una, due donne si trovano per salvare la faccia, tacitare critiche e non farsi accusare di maschilismo. Allora perché escludere che invece siano state proprio le donne cui è stato chiesto, che abbiano risposto no? Tra l’altro la pandemia ha reso evidente ciò su cui da tempo le femministe insistono inascoltate: la necessità di una politica che metta al centro la cura e la relazione tra gli esseri umani. Siamo davvero sicure che non sarebbe un bene che le donne in alcuni casi gridassero dei no forti e motivati, rifiutandosi di entrare in netta minoranza in giunte di governi che non convincono e non garantiscono rispetto alla possibilità di incidere con scelte chiare in direzione del bene comune?


Biblioteca delle donne e centro di consulenza legale UdiPalermo


(www.libreriadelledonne.it, 14 gennaio 2021)

di Casa delle donne di Pesaro


Siamo un gruppo di donne della casa delle donne di Pesaro che da anni ragiona di politica, di pratiche politiche, di come stare nei luoghi, di come segnarli con il pensiero delle donne. Luisa Muraro ci ha insegnato molto sulla libertà femminile e sull’autorità. Infatti ha da sempre invitato tutte le donne a “mettersi in gioco nella ricerca libera della differenza sessuale”.

La lettera che Luisa Muraro ha fatto arrivare alle due ministre Bonetti e Bellanova per noi è stata liberatoria: avremmo voluto essere noi a dire le sue parole che invece abbiamo trattenuto nella nostra mente. Abbiamo sentito il suo appello rivolto, oltre che alle ministre, a tutte le donne, noi comprese. Abbiamo salutato con interesse e approvazione il dialogo tentato da Luisa Muraro con due donne delle istituzioni.

Le donne sono ormai in tutti i luoghi e oggi più che mai bisogna lavorare per un cambio di civiltà. Un cambio di civiltà è urgente, anche la pandemia lo ha dimostrato in tutti i suoi risvolti. Il clima del nostro paese è molto pesante. Alla pandemia si aggiungono altri problemi: istituzioni deboli, politica scadente, misoginia e narcisismo maschile imperante. Dato il contesto in cui siamo immersi/e è d’obbligo la domanda, come uscirne e su chi poter contare.

Noi pensiamo si possa contare sulle donne, sulla loro libertà e autonomia di giudizio. A questo proposito, vorremmo sottolineare che Muraro, anche se le ministre non lo hanno recepito in questo modo, dà per acquisito, come da lei ribadito, il loro essere donne libere e come tali le invita a non farsi usare da Renzi che minaccia il governo con l’intimazione “ritiro le mie ministre”.

Vorremmo dire a Teresa Bellanova e a Elena Bonetti che noi le consideriamo le nostre ministre anche se non tutte le abbiamo votate e contiamo su di loro e non sul narcisismo di Renzi.  Vorremmo che si muovessero in un orizzonte più ampio di quello angusto della parità, la cui misura è quella maschile. Pur riconoscendo l’importanza di ricoprire certi ruoli, che è avvenuto, ci fanno notare le ministre, in forza del 50 e 50 voluto anche da Renzi, l’assunto della parità non può, secondo noi, condizionare, limitare, l’agire politico delle elette.

È vero care ministre che con il Recovery Fund, si decide il futuro della collettività, è vero che ci vogliono più risorse per la sanità, più investimenti nel sociale, più investimenti sul lavoro, in particolare quello femminile, ma noi ci siamo chieste: per modificare il piano nelle parti che vi stanno a cuore e che ci stanno a cuore è mai possibile che non ci siano altre modalità politiche diverse dal ricatto?

Noi siamo convinte che le donne pensano con tutto il loro corpo, amano la complessità e siamo altrettanto sicure che sia così anche per voi, anche se come dite, in risposta a Muraro, non conosciamo le vostre biografie. Noi, a voi ministre vorremmo dire che non va sprecata l’occasione di ricoprire un ruolo dove agire un pensiero che prenda le distanze da meccanismi maschili e che porti ad agire una politica fatta di aperture, varchi, concretezza, bisogni reali e non di potere fine a se stesso che conduce, talvolta, ad azioni spericolate.

Ci permettiamo di dire che nella partita sulle manovre all’interno della coalizione di governo sia in gioco il potere e pensiamo sia necessario svelare la radice sessuale del potere stesso. Non si può essere succubi di un patriarcato rantolante, anche se ancora potente. Il sasso gettato da Muraro va preso in maniera seria e pensiamo sia un’occasione di riflessione per tutte le donne. Sia un’occasione, per guardarci dentro, per capire quanto siamo ancora ingombrate da meccanismi maschili. Muraro ci mette in guardia e ci sollecita ad accorgerci delle contraddizioni e trappole che si incontrano lungo il cammino della politica.

Noi pensiamo che sia fondamentale per un cambio di civiltà far emergere nei luoghi dove ci troviamo ad agire il nostro sentire dove, come dice Chiara Zamboni nel libro “La carta coperta”, non è al centro l’io ma la percezione degli altri e del mondo secondo una modalità affettiva.

Proponiamo infine di riflettere anche sulla risposta che in un’intervista Christine Lagarde dà alla domanda su come definirebbe il suo modo di gestire il Consiglio Direttivo, che stile preferisce adottare. Lei risponde ho le doti delle donne: sono paziente e inclusiva. Christine Lagarde, è una donna che non ha un’appartenenza femminista, ma in questa circostanza ha riconosciuto pubblicamente il “di più femminile”. Cosa succederebbe se lo agissimo in tante?


(www.libreriadelledonne.it, 12 gennaio 2021)

di Luisa Muraro


Pubblichiamo il proseguimento dello scambio avviato da Luisa Muraro (Ndr)


6 gennaio 2021
Italiaviva.it
Lettera sulla libertà femminile. Di Teresa Bellanova ed Elena Bonetti
Una riflessione da parte delle due Ministre di Italia Viva


Il partito in cui siamo e agiamo è Italia Viva. Partito che dalla sua fondazione, da parte di Matteo Renzi, contempla la diarchia in tutti i ruoli e le cariche, scelta che anche a livello locale sta cambiando il volto della partecipazione politica (1).

Non a caso Matteo Renzi è stato il primo e finora l’unico Presidente del Consiglio ad aver attuato la piena parità nell’indicazione dei suoi Ministri (50% donne e 50% uomini). Già molte ministre di quel governo furono accusate di essere succubi del capo. Megafoni.

D’altra parte, è un maleficio che sembra colpire molte donne che scelgono la politica e ambiscono a ruoli apicali. Dunque, nessuna meraviglia se lo stesso incantesimo ricade oggi su due Ministre della Repubblica. Lascia tuttavia sconcertati che a farsene interprete sia questa volta anche la parola di una filosofa che ha scritto saggi sulla libertà femminile e l’autorità che ne deriva.

Perché le donne, alla prova degli eventi e dei fatti, sono obbligate a dare ragione della loro autonomia di giudizio rispetto agli uomini mentre agli uomini mai, neppure dalle donne, questo è richiesto? E in quali gravi condizioni versa la credibilità del servizio della politica e dello stesso agire politico, se perfino una donna di pensiero è portata ad escludere nelle premesse che la scelta condivisa da due donne possa essere liberamente ordinata a null’altro che alla ricerca di un bene comune possibile per il Paese? Quest’ultima è, forse, la vera domanda del nostro tempo e attiene alla drammatica incapacità di concepire la comunità.

Finisce così per interessare poco ciò che voci ufficiali di donne e uomini di Italia Viva, comprese le nostre, dichiarano da mesi nel merito puntuale di temi cruciali per il futuro di questo Paese.

Diventa invece necessario ribadire che, in piena libertà e autonomia, abbiamo condiviso con Matteo Renzi e l’intera comunità di Italia Viva i rilievi mossi al Presidente del Consiglio rispetto a quelli che noi per prime riteniamo veri e propri vulnera istituzionali e deficit nella capacità politica di governare la complessità che stiamo vivendo.

Richiamando le domande al principio del nostro ragionamento, chiediamo: è così difficile per Luisa Muraro, che sembra non conoscere a sufficienza neppure le nostre storie politiche e le nostre biografie, vedere e riconoscere libertà decisionale e autonomia femminile nelle nostre scelte? Mostreremmo forse una qualche prova di maggiore libertà se non richiamassimo tutti alla necessità di considerare le enormi risorse del Recovery un’occasione storica per il Paese e le nuove generazioni, tale da rendere necessario un confronto responsabile, rigoroso, di qualità all’interno della maggioranza di governo?

Appariremmo donne più libere se non parlassimo di quanto una superficiale gestione delle responsabilità rischi di penalizzare pesantemente e mettere fuori gioco una intera generazione, costretta oggi alla didattica a distanza come unica modalità di insegnamento e domani a un futuro lavorativo desolante, sul quale nessuno sente il dovere di aprire gli occhi per disegnare una strategia valida e creare concrete opportunità?

Saremmo riconosciute libere se con serena accettazione dicessimo che dinanzi alla gravità della pandemia è meglio non discutere e guai ad alimentare conflitti (e pazienza se si mette a tacere la coscienza e si rende sterile e innocuo, e in questo modo, sì, inutile e persino superfluo, l’esercizio critico del nostro giudizio)?

Meriteremmo una patente di libertà, infine, se venissimo meno al riconoscimento reciproco come fondamento delle relazioni nelle comunità politiche e al giuramento fatto sulla Costituzione il giorno in cui siamo state nominate Ministre della Repubblica, quello di “esercitare con lealtà e onore le funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”?

Semplicemente, la nostra idea di libertà e di autorità femminile non coincide con quella espressa dalle parole di Luisa Muraro e da chi come lei oggi ci sollecita ad agire al di fuori di una logica di comunità. Nel pieno rispetto delle reciproche differenze d’opinione, ne teniamo conto. Ma non vorremmo inutilmente alimentare un dubbio: non ci occorre alcuna patente di libertà. Noi siamo persone libere. Siamo donne libere. E con il servizio della politica abbiamo l’ardire – Muraro non se ne dorrà – di voler contribuire a spezzare i gioghi, troppi e subdoli, che parole come le sue ancora vogliono imporre sulle spalle delle donne di questo Paese.

Teresa Bellanova

Elena Bonetti


(1) Dallo Statuto di Italia Viva:
1.1 Italia Viva è la casa aperta a tutte le donne e a tutti gli uomini che si identificano nei valori propri dello Stato liberale, laico, inclusivo e fondato sulla divisione dei poteri, nella Costituzione repubblicana e antifascista, nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
1.2 Promuove la concreta parità di genere, impegnandosi affinché donne e uomini abbiano eguali diritti e medesimi doveri.
3.3 L’Associazione persegue anche attraverso azioni positive l’obiettivo della parità dei sessi in attuazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione. Ogni incarico, elettivo o di nomina, è affidato congiuntamente a una donna e a un uomo, salvo diversa espressa previsione del presente Statuto o della Legge. In ogni caso, va garantito l’equilibrio numerico dei due sessi all’interno degli organi collegiali.



Alle ministre Elena Bonetti e Teresa Bellanova


Vi ringrazio di aver preso in considerazione la mia lettera aperta del 31 dicembre, doppiamente perché, oltre al segno di attenzione, mi date anche l’occasione di spiegare meglio il mio pensiero. Chiedendovi di collaborare al vostro meglio con il governo di cui fate parte, io do per acquisito che siete libere. Agitando la minaccia delle vostre dimissioni per ricattare il capo del governo, Matteo Renzi vi usa.

Mi viene quasi da pensare che voi vi rivolgete a me per una rivendicazione di libertà che vorreste rivolgere a quest’ultimo, un uomo di cui è nota la voglia di protagonismo. (Luisa Muraro)


(www.libreriadelledonne.it, 8 gennaio 2021)


Ho molto apprezzato, sul sito, il testo di Vera Gheno sulla questione dei nomi delle professioni al femminile: sono gli stessi argomenti che utilizzo anch’io dagli anni ’90. Una raccomandazione che mi sento di fare è cercare di sensibilizzare sempre e ovunque, in qualunque contesto e ambiente, al doppio linguaggio di genere: io lotto per questo in un arco molto vasto di soggetti, perché frequento moltissimi soggetti di varia natura e martellando qualcosa si riesce a ottenere. È una lotta di sostanza, non di forma. Segnalo un altro libretto utilissimo, il numero 4 della serie prodotta nel 2016 dall’Accademia della Crusca e da La Repubblica sull’italiano intitolato “Sindaco e sindaca: il linguaggio di genere”.

Mi è piaciuto molto anche il testo di Silvia Motta: non mi ha detto nulla di nuovo, in quanto sono femminista, ma ha ribadito in modo particolarmente chiaro alcuni concetti, come ad es. quello di parità. Dissento sul lavoro da casa, che per me è dannoso soprattutto per le donne ma non solo: da quando è massicciamente usato (e in questo periodo non si può fare diversamente) sono aumentati i femminicidi e altre forme di violenza domestica, varie coppie a causa della convivenza forzata per tutto il giorno sono “scoppiate”, le persone in età lavorativa che vivono sole sono private di qualsiasi forma di socialità, la sindacalizzazione è resa ancor più difficile (e non era proprio necessario) e, anche se giuridicamente il lavoro da casa consente autogestione degli orari di lavoro, in pratica se non ti connetti alle 8.30 o altro orario consentito anche quando sei in presenza, vieni mazzolato/a dal datore di lavoro, che controlla facilmente l’orario di inizio e non va a controllare se, iniziando più tardi, magari lavori fino alle 20 o alle 21.

È vero che l’autorità femminile è attualmente presente come mai è stato prima, ma a mio parere è fondamentale ricordare che l’autorità femminile è sempre stata presente fin dalla più remota antichità in ruoli di potere – non poi così pochi –, nelle scienze (vedere il libro di Sara Sesti e Liliana Moro “Scienziate nel tempo”), nella poesia (Saffo), nella letteratura dal XV secolo, a partire da Christine de Pizan, in politica ampiamente intesa dalla fine del XVIII secolo. Le donne hanno “inventato” l’agricoltura e l’unico uomo da cui l’ho visto ricordare è Giorgio Galli.

Per influire dobbiamo allearci tra donne nei luoghi dove operiamo, scrive Silvia: è quello che faccio da anni come responsabile nazionale politiche di genere del Partito Comunista Italiano e anche in altre sedi. È con questo intento che avevo promosso il convegno del 3 ottobre “Donne e politica ieri oggi e domani: uniamoci per essere libere tutte” (https://falcerossa.com/2020/11/10/donne-e-politica-ieri-oggi-e-domani-uniamoci-per-essere-libere-tutte/), che propone di tessere alleanze tra donne delle varie forme della politica, puntando soprattutto su CGIL e Non Una Di Meno.


Un abbraccio e buon anno, Maria Carla


(www.libreriadelledonne.it, 7 gennaio 2021)

Luisa Muraro della Libreria delle donne


Errori e danni il governo in carica ne ha fatti, così come tanti altri governi alle prese con la pandemia. Ma nessun errore o danno è così grave come quello che potrebbe fare Matteo Renzi con le sue manovre nella coalizione di governo. “È senza anima” ha sentenziato Renzi del piano di spesa proposto dal capo del governo: parla come un esperto di anime l’uomo che conoscevamo per aver insidiato il governo Letta e mandato allo sbaraglio il proprio!

Lo sta rifacendo con la minaccia di ritirare le “sue ministre”. Chi sono? Elena Bonetti e Teresa Bellanova, deputate nel parlamento italiano, elette nelle liste del Partito democratico (PD) e ministre del governo in carica, rispettivamente per le Pari Opportunità e per l’Agricoltura. Il riferimento delle due ministre è, costituzionalmente, il capo del governo, Giuseppe Conte. Ma entrambe hanno aderito a una piccola formazione, “Italia viva”, un nuovo partitino cui ha dato vita Matteo Renzi (anche lui del PD), dopo le elezioni.  Con quale scopo? Ci sono diverse risposte, sicuramente Renzi voleva contare di più e non trovarsi fuori dalla gara per il potere.

Bisogna sapere che il Partito democratico è entrato a far parte della nuova coalizione di centrosinistra dopo la famosa manovra fallita dell’on. Salvini, estate 2019, che ha mandato per aria il centrodestra, e lui all’opposizione. La manovra doveva servire a spostare la politica più a destra e invece non fece che far ruotare il partito di maggioranza, i Cinquestelle (e con loro Giuseppe Conte che ha fatto da perno) da destra a sinistra: i numeri in parlamento c’erano senza tornare a votare. È stata una vera piroetta, il merito ne va a 4-5 persone fra cui lo stesso Matteo Renzi che voleva così rientrare nella gara per il potere: non pensava a favorire Conte, che in quel posto era arrivato quasi per caso.

Poi è esplosa la pandemia e tutto è cambiato fra cui la politica europea e dietro a questa l’importanza dell’Italia e, con questa, quella di Conte e del suo governo di centrosinistra.

Siamo a questo punto. E a questo punto mi rivolgo alle due ministre per chiedere loro di non prestarsi alle dubbie manovre di Matteo Renzi. Il passato non parla in suo favore. In ogni caso, non lasciate che sia lui a parlare e decidere per voi. Non siete ministre a disposizione di Matteo Renzi, siete ministre del governo in carica, che può e deve migliorare la sua politica: date il vostro contributo, lo sapete fare. Vi chiediamo, in sostanza una prova della vostra indipendenza dalla politica che mira al potere. Mirate alla libertà femminile e al bene comune.


P.S. Sono stata informata che la ministra Teresa Bellanova è senatrice e che Elena Bonetti è ministra senza essere stata eletta. Mi scuso con le interessate. L.M.


(www.libreriadelledonne.it, 31 dicembre 2020)

di Luisa Muraro


Nella ricorrenza del 12 dicembre 1969, data della strage di piazza Fontana, riproponiamo lo scritto che Luisa Muraro ha dedicato ai fatti lo scorso anno, in occasione dei 50 anni dalla strage.

La Redazione del sito

di Laura Minguzzi


La morte della madre di una cara amica della Libreria delle donne di Milano mi ha colpito dolorosamente, non perché la conoscessi bene, ma ha dato un volto alla morte nel tempo presente, tempo della pandemia. Il volto della solitudine. Una donna comune, sua madre, che ha sofferto come tante, tanti, dell’impossibilità di vivere in presenza della figlia e del figlio il distacco dalla vita. Eppure aveva scelto di dedicare la sua vita alla famiglia. Una donna che, pur non essendo malata di Covid-19, è stata portata d’urgenza in ospedale, e lì, a causa della meccanica dei protocolli ne ha subito le regole emergenziali. Mi ha toccato perché il lungo legame di amicizia personale e politica con la figlia mi ha portato col pensiero più prossima alle tante persone che in questi lunghi mesi hanno vissuto questa stessa disumana esperienza. Non potere fare visita, vedere la persona, nemmeno la stanza, il luogo dove si somministrano le cure. Non potere scambiare una parola per telefono. Dal giorno dell’improvvisa partenza un taglio netto e poi la fine imprevista. Non poter essere vicine alla persona cara al momento della morte è l’altra faccia della medaglia dell’impasse, del vicolo cieco in cui sembrano versare le fondamenta essenziali del vivere sociale: la vita scolastica, il lavoro, la cultura, la città eccetera. In un flash ho rivissuto la notte in cui è morta mia suocera, alcuni anni fa, in casa, dopo una breve malattia, quando mi ha voluta accanto a sé e pur essendo moribonda mi ha preso la mano, me l’ha stretta e mi ha detto «Ti voglio bene». Parole che contano. Io non avevo potuto darle molto aiuto materiale durante la malattia abitando in un’altra città, aveva una famiglia di badanti che se ne prendeva cura quotidianamente oltre alla figlia e alla nipote. Per me è stato importante quel momento e quelle parole mi hanno dato molta forza. Ho sentito che con quel gesto l’accompagnavo a oltrepassare il confine in modo umano. Ci legava un’empatia silenziosa ma profonda: sua madre e mia nonna materna erano morte in tempo di guerra sotto i bombardamenti. Così mia madre e lei rimasero orfane in giovane età. Ricordi della sua vita a cui mi aveva accennato conoscendo il mio amore per la storia.


(www.libreriadelledonne.it, 4 dicembre 2020)

di Tiziana Nasali


Ho appreso con grande piacere dalla stampa che l’avvocata Rosanna Rovere ha deciso di rinunciare alla difesa di Giuseppe Forniciti, reo confesso di aver ucciso la compagna Aurelia Laurenti. Ho ascoltato con interesse le motivazioni da lei addotte: Rovere dichiara di aver rifiutato «nell’interesse dei diritti dell’assistito e dell’imparzialità della legge», in quanto per la sua storia fatta di impegno per la difesa delle donne non poteva «garantirgli quello che qualunque cittadino merita: un legale capace di agire senza retropensieri». Dichiara anche che la sua è stata una scelta sofferta in quanto «da avvocato il diritto alla difesa è sacro ed è garantito dalla Costituzione».

La sua argomentazione è molto centrata sul diritto costituzionale e sulle regole della buona deontologia professionale, tuttavia il suo a me sembra un gesto ben più audace, di rottura: lei donna, fedele al suo intimo sentire, al suo sesso, si prende l’autorità di dire di no alla difesa di un uomo accusato di un reato contro le donne e si prende l’autorità di dirlo pubblicamente, a sancire la fine del sistema patriarcale.

Sistema difeso invece dal presidente dell’Unione delle Camere penali del Veneto, il trevigiano Federico Vianelli, le cui critiche vertono non tanto sul rifiuto di Rovere alla difesa quanto sulla sua presa di posizione pubblica: «Nessuno di noi vuol mettere in discussione la libertà del difensore di fiducia di accettare o non accettare un incarico difensivo… Ma questa libertà non può tradursi nel rilasciare pubbliche dichiarazioni sulle ragioni della mancata accettazione dell’incarico, perché ciò può pregiudicare la posizione giuridica dell’indagato/imputato… ed al contempo getta una pericolosa ombra sulla figura ed il ruolo dell’avvocato».

Ebbene è proprio la presa di posizione pubblica che rende significativo il gesto di Rovere: Vianelli non considera che essendo la legge, anche la Costituzione, frutto di una pratica del diritto e dei rapporti sociali fra uomini, ed essendo il rapporto fra i sessi ancora squilibrato simbolicamente a favore degli uomini, una donna che non si fa guidare dalla presunta oggettività delle regole giuridiche e deontologiche, non fa altro che rimediare allo squilibrio della legge e affermare un principio che non è ancora inscritto nell’ordinamento giuridico.

Rovere dice: «non è una decisione nel mio interesse come potrebbe sembrare, è una tutela soprattutto per l’assistito». Io vedo nel suo rifiuto, un gesto politico nell’interesse delle donne – e anche degli uomini interessati a modificare il rapporto con le donne e a riflettere sulla loro sessualità. E il diritto costituzionale alla difesa? Chiaro che debba essere garantito: se tante e tanti imitassero il gesto di Rovere, la difesa d’ufficio potrà venire in soccorso di qualsiasi imputato di reati contro le donne… 


(www.libreriadelledonne.it, 3 dicembre 2020)

di Umberto Varischio


Il dibattito sulla riapertura di gran parte, se non di tutte le attività commerciali per il Natale e il Capodanno, ha degli aspetti surreali e insieme drammatici. Se si fa una semplice moltiplicazione dei decessi giornalieri per il numero dei giorni che mancano da qui a fine aprile, quando le condizioni climatiche forse ci daranno una mano a diminuire i contagi, il numero dei morti in Italia per Covid-19 diventa impressionante. E sappiamo bene che in ballo ci sono le vite dei più fragili. Il dibattito mediatico, al contrario, oscilla tra la necessità di passare dalle festività di relazioni (e con queste si intendono principalmente quelle familiari) e la necessità di consumare per sostenere l’economia.

Io sono spettatore attonito di questa dinamica, ma anche soggetto alle decisioni che vengono prese: sento sulla mia pelle lo scambio tra le necessità dell’economia e la vita, quella di un uomo che ha passato i sessantacinque anni e che da poco è in pensione, subisco la contraddizione tra i bisogni di un essere umano e gli imperativi del consumo e della valorizzazione, i significati cui oggi i più riducono l’economia.

So bene che altre e altri, in questa pandemia, patiscono a causa della mancanza di lavoro e soldi, della fatica a far fronte ai bisogni quotidiani, della deprivazione sociale.

E sempre più vedo l’insensatezza di questa realtà e mi chiedo come sia possibile uscire da queste contraddizioni. Mi sono venute in soccorso le parole di Ina Praetorius sulla necessità di un cambio di paradigma o meglio «dell’irruzione di un paradigma scientifico che metta (di nuovo) al centro l’essere umano». E di un cambiamento di priorità in economia, il «soddisfare il bisogno umano di preservare la vita e la qualità della vita» e cioè un mettere al primo posto i bisogni primari di tutti e al secondo posto il mercato.

Questo cambio di paradigma è assolutamente necessario non solo per superare la pandemia, ma anche per dare un futuro all’umanità. Alcuni passi in questa direzione, la “Care Revolution, la rivoluzione della cura” auspicata da Praetorius, ci sono stati nelle scorse settimane, a diverso livello d’importanza mediatica: l’incontro internazionale “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani” di Assisi (19-21 novembre), e la costituzione di una “Società della Cura” (https://societadellacura.blogspot.com/) che ha promosso sabato 21 novembre una mobilitazione nazionale con diversi appuntamenti che si sono svolti quasi sempre virtualmente.

Perché se il futuro è nelle nostre mani, di donne e uomini, che – sono sempre parole di Praetorius – almeno sia in direzione del «passaggio da una società di mercato centrata sulla produzione di merci e sul profitto a una società di economia domestica, centrata sul bisogno e sulla libertà-in-relazione di tutti gli esseri umani».


(www.libreriadelledonne.it, 2 dicembre 2020)

di Katia Ricci


Dopo un breve ricovero in ospedale a Roma colpita dal Covid 19, il 17 novembre scorso è mancata Saviana Scalfi, attrice teatrale, cofondatrice dello storico teatro romano della Maddalena e fondatrice del collettivo teatrale “Isabella Morra”. Molto nota e apprezzata negli ambienti teatrali di tutta Italia e oltre, anche Foggia l’ha accolta e ha applaudito molte volte le sue raggianti performance.

Milanese di nascita, esordì giovanissima nella parte di Regana in Re Lear con lo Stabile di Bolzano diretto da Fantasio Piccoli e in Madame sans gêne di Sardou con la Compagnia di Elsa Merlini e Paolo Carlini. Si trasferì poi a New York dove visse per 5 anni e frequentò i famosi corsi di Lee Strasberg all’Actor’s Studio. Tornata in Italia a metà degli anni ’60, dopo aver preso parte ad alcuni spettacoli, lavorò con Giorgio Strehler ne Il fondo di Gorki e Il fantoccio lusitano di P.Weiss. Ha poi recitato con i maggiori attori, attrici, registi e intellettuali, da Franco Enriquez a Paolo Volponi, da Elsa Merlini a Maricla Boggio e nei principali teatri italiani, ma anche stranieri.

Nel ’71 con Bruno Cirino dette vita al Teatro di Centocelle. Saviana Scalfi, infatti, in tutta la sua carriera non si accontentò mai di essere solo attrice, il suo si può definire un teatro globale, perché lo intendeva come un mezzo di ricerca per divulgare una nuova visione del mondo e della cultura femminista che in quegli anni si andava diffondendo anche in Italia.

E così nel 1973 con altre donne, scrittrici e intellettuali del calibro di Adele Cambria e Dacia Maraini, dette vita a una grande impresa, il mitico Teatro La Maddalena, che divenne ben presto un centro di riferimento del femminismo italiano, in cui debuttò con alcune storie di donne, Mara Maria Marianna. Altra sua importante impresa, che da allora ha segnato tutta la sua carriera, è stata la creazione del Collettivo “Isabella Morra”, di cui è stata direttrice artistica, attrice e regista. Con il Collettivo ha portato rappresentazioni non solo nei teatri, ma anche nelle fabbriche, nelle scuole, nelle piazze, nelle carceri, nei centri anziani. Le tematiche e i problemi più attuali, ricerca di un linguaggio più fedele al proprio essere donna erano al centro delle commedie appositamente scritte per lei o cercate in altri contesti culturali europei.

Fu così che la conoscemmo a Foggia nel 1979, quando noi giovani donne femministe la invitammo a recitare nel teatro Umberto Giordano in Due donne di provincia con Renata Zamengo. Ricordo che non fu facile ottenere l’autorizzazione per l’opposizione per evidenti motivi politici dell’ente locale, ma fummo determinate e caparbie, oltre che numerose e riuscimmo a spuntarla, a riempire tutto il teatro e a decretare il successo della commedia di Dacia Maraini.

Da allora partecipò al Collettivo anche la nostra amica e concittadina Pia Mancini che ne diventò la direttrice di scena, l’aiuto regista, la consulente nella scelta dei testi e nell’amministrazione e le è rimasta a fianco per tutta la vita.

E Pia fu il tramite per altre importanti occasioni che qui a Foggia videro Saviana Scalfi recitare in Mela con Elsa Merlini al teatro Giordano, La Regina dei Cartoni di Adele Cambria rappresentata alla sala Farina, al Piccolo Teatro, al Cine teatro Ariston. All’Ariston nel 1993 grande successo ebbero lei e Alessandra Casella in Casa Matriz della scrittrice argentina Diana Raznovich.

Una grande donna di teatro, dunque, sempre generosa con il pubblico che intratteneva dopo ogni spettacolo in dibattiti sui temi proposti nelle commedie. Ha partecipato con alcuni spettacoli a festival internazionali ottenendo sempre grandi risultati: con Due donne di provincia nel 1979 ha vinto il Premio de honor al Festival di Sitges in Spagna, dove vinse per la seconda volta il premio con Maria Stuarda di Dacia Maraini nel 1980 e vi ritornò con Mamma eroina di Maricla Boggio.

A Roma nel 1984 organizzò la prima rassegna internazionale di teatro fatto interamente da donne, dal titolo Palcoscenico, Pensieri Parole di Donna, a cui hanno aderito compagnie italiane e straniere, grandi attrici come Franca Rame, Paola Borboni, Valeria Moriconi, la stessa Saviana Scalfi, oltre che attrici provenienti dall’Inghilterra, dalla Francia, dagli USA e dalla Svizzera. Per un intero mese oltre agli spettacoli si svolsero anche incontri-dibattito con giornaliste e intellettuali come Anna Maria Mori, Germaine Greer, Lina Wertmüller, Ida Magli, Gianna Schelotto, Dacia Maraini, Simona Argentieri, Tina Lagostena Bassi.

Infaticabile, anche dopo la crisi che il teatro indipendente ha subito in Italia, ha ideato e realizzato “Recitare Libri”, presso librerie, numerosi Centri Anziani, Scuole Superiori, carceri. Presentò e recitò testi narrativi di alcune fra le più significative scrittrici italiane, tra cui Dacia Maraini, Lidia Ravera, Lia Levi, Maria Luisa Spaziani, Luce D’Eramo, Adele Cambria, Ippolita Avalli, Elena Gianini Belotti, Edith Bruck ecc.

A Foggia l’abbiamo applaudita l’ultima volta il 25 novembre del 2018 nel suo monologo Stupri impuniti… ma non per sempre tratto da La passione di Artemisia di Susan Vreeland e Lo stupro di Franca Rame in una serata presso Parcocittà organizzata dalle associazioni di donne della città: La Merlettaia, Donne in rete, Impegno donna, Andos, Correre donna, Matilde editrice, Telefono Donna e Il filo di Arianna.

Faccio mio il commento dopo la triste notizia che Alessandra Casella ha rilasciato su twitter: «Il Covid si è portato via una grande guerriera, Saviana Scalfi. Attrice, regista, impresaria: per lei la voce femminile a teatro poteva gridare o sussurrare, ma comunque farsi sentire, sempre il teatro le deve moltissimo. Le donne perdono una paladina, io una grande amica». Ciao Saviana.


(www.libreriadelledonne.it, 22 novembre 2020)


Milano, 22 novembre 2020


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Le libraie

di Cristiana Fischer


Il fatto che la politica femminista non sia la politica neutra-maschile di destra e sinistra potrebbe anche darsi per acclarato. Kamala Harris è stata procuratrice di destra, cioè autoritaria e non popolare, ma è una donna arrivata a un alto livello politico nell’impero americano: questo che cosa rappresenta per le donne in generale?

Da una parte che le donne NON sono una minoranza – razziale? culturale? – da proteggere o sbeffeggiare o reprimere.

Dall’altra parte, e questo ci tocca da vicino, che non tutte le donne che “arrivano” nel mondo maschile condividono una civiltà che invece condividono in maggioranza le donne senza potere.

È questo il problema che riguarda noi donne senza potere, nei confronti di quelle che “ce l’hanno fatta”. Però sta a noi condizionare appoggio e fiducia in Kamala e convincerla che la sua forza può in realtà, per se stessa e per noi, dipendere dalle altre.

La questione è davvero seria. Una donna autoritaria, ma anche autorevole, che sostiene una politica imperiale e antipopolare, è comunque un punto di forza per le donne? Da un certo punto di vista, che le donne non sono una categoria inferiore da proteggere e insultare, sì. Che il femminismo coincida con il progressismo, o addirittura con la “sinistra” dei politicamente corretti, pare non vero. Questo è difficile da accettare per moltissime femministe.

Forse, da un corno della lotta contro il “neutro/maschile” come unico criterio per l’umanità, una donna che raggiunge potere – e però, questo è importante, non cancella il suo essere una donna! – libera qualcosa che invece ancora in molte donne permane: di essere bisognose di protezione, aiuto, rivendicazioni.

Non è cosa indifferente.

Dopodiché le contraddizioni politiche, in senso maschile, ce le dovremo vedere tra donne, prima di tutto: Kamala Harris dovrà misurarsi con il sostegno delle sue simili, o non lo vorrà? E quante delle sue simili sono disposte a stringerla all’angolo, perché come donna faccia anche scelte politiche che le sue simili considerano importanti?

Se invece la maggioranza delle donne condivide una politica solita, quella divisa tra destra e sinistra, come se fosse – come del resto è tuttora di fatto – l’unico orizzonte della politica… allora, per il femminismo, effettivamente niente potrebbero contare le donne in politica.

È questo il dato cruciale del presente in cui ci troviamo.


(www.libreriadelledonne.it, 9 novembre 2020)