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Un milione almeno in piazza a Roma per dire basta alla guerra. La manifestazione di un popolo che vive le ferite di Baghdad, di Pristina, di Madrid e pretende di spezzare la catena della morte e del terrore. Cominciando con il ritiro delle truppe dall’Iraq. Il cammino di pace per un altro mondo possibile non si ferma
Loris Capetti

Una manifestazione di popolo, un laboratorio. Una manifestazione di popolo perché c’erano i bambini in carrozzina con i genitori e i nonni, un tutt’uno, uno sciamare di uomini e donne di ogni età con un grande sentimento comune disegnato con tanti colori quanti sono quelli che formano l’arcobaleno della pace. Ma anche un laboratorio dove si sperimentano nuove forme di relazioni sociali tra diversi. Di più: dove si comincia a praticare un altro modo di stare al mondo, di decidere le priorità in totale autonomia rispetto all’agenda dettata dalla Politica con la P maisucola. C’è posto per tutti in questo laboratorio che fa politica, per tutti coloro che hanno espulso la guerra dal proprio orizzonte e non tollerano l’idea di consegnare ai propri figli un mondo peggiore di quello in cui hanno vissuto loro. Hanno una base in comune queste centinaia di migliaia di persone, è l’articolo della Costituzione che espelle la guerra dalle possibilità, dalla politica. Boy scout e sindaci, disobbedienti e suore, ambientalisti e delegati operai non hanno fatto una manifestazione, hanno invaso Roma mescolati tra di loro come gli ingredienti di un piatto raffinato in cui i gusti, però, si distinguono l’uno dall’altro, il dolce e l’agro, il salato, il piccante, il delicato. Quanti sono questi e queste no-guerra? Impossibile dirlo, non bastano le cinque ore di corteo a contarli tutti e se si dovesse recitare l’elenco dei gruppi, dei circoli, delle scuole, delle fabbriche, delle sezioni, delle associazioni, dei comitati si finirebbe per far arrabbiare un sacco di individui e collettivi dimenticati nella narrazione. Non si vedono servizi d’ordine, salvo in pochissimi casi militanti, o come li chiamano gli altri, i normali, «militonti». Le bandiere con le falci e martello bordate con il filo d’oro si intrecciano con gli striscioni dipinti in casa, lungo la marcia interminabile che da ogni parte di Roma conduce al Circo Massimo. Alle 18 i cortei sono due, uno che tenta di arrivare e uno di chi tenta di uscire. «Fate il vino non la guerra», invita uno di questi striscioni casalinghi, ma sia ben chiaro, il vino «dev’essere biologico». Per chi manda questo messaggio l’altro mondo, quello possibile, è fatto di lavoro «scelto per vivere non per sfruttare gli altri». C’è chi si aggrega sognando un mondo in cui ci sia più posto per la fede e meno per le religioni: «Di che religione è Dio?». Oppure: «Cristo è qui/ quando ci sarà tutta la Chiesa?». Non si scandalizzano, cattolici di Verona e valdesi di Grottaglie, a camminare insieme alle «lesbiche contro la guerra» o a chi alza uno degli striscioni più divertenti e commentati: «Uomini contro la guerra. Percorsi maschili di libertà».

 

In quel mondo possibile sognato e in piccola misura già vissuto dai camminatori arrivati a Roma in treno, pullman, auto private, camper, c’è posto per gli americani pacifisti «Not in our name» e per gli amici kurdi di Abdullah Ocalan, per gli spagnoli romanizzati e i palestinesi, per gli ebrei contro l’occupazione e per i disoccupati napoletani o di Acerra che sembrano arrivare da Marte. Sarà perché vogliono essere muratori di un altro mondo dove ci sia lavoro ma anche dove ci si possa fumare una canna in pace, come chiedono giovani dei centri sociali più o meno disobbedienti. Un mondo in cui non ci si scanni per il petrolio, ma siccome per riuscirci bisogna anche ridurre il consumo di petrolio, ecco i pedalatori che hanno avvitato al loro velocipede una targa speciale: «Bici no oil». In bici si va più lentamente, certo, ma non s’ammazza nessuno. Se si andrà più piano non ci sarà bisogno neppure dell’alta velocità che mina la vivibilità della val di Susa. Pace e non solo. Perché per costruire la pace bisogna vivere in un altro modo, bisogna costruire «Ponti, non muri», bisogna controllare il mercato dei capitali e aprire le frontiere agli umani (non al mercato degli umani, quello è già aperto). «Non sulla nostra pelle», chiedono decine di africani che si presentano come «rifugiati a Roma Tiburtina». Tre o quattro quartieri più avanti si ripete con maggiore irriverenza lo stesso concetto: «Bossi e Fini fuori dai confini/ Berlusconi fuori dai coglioni». Irriverente ma efficace, condiviso da tutti anche da un cappuccino con tanto di sandali che sorride imbarazzato. In un mondo diverso ci sarà posto per giocolieri e trampolieri che intanto si esercitano in piazza Barberini e poi lungo tutto il corteo, anzi i cortei; non c’è posto per le scorie che siano o non siano radioattive. Dev’esserci l’acqua in questo mondo in nuce e meno elettrodotti. Ma sempre alla pace si ritorna: «Ke cazzata la guerra», ci ricorda lo striscione firmato «i corvi/ movimento studentesco». Ci sono gonfaloni di mezz’Italia, sono costretti a sfilare chi lungo il corteo ufficiale chi giù per via Nazionale. Ci sono comuni in cui i sindaci non hanno smanie di presidenzialismo, anzi da anni sperimentano il bilancio partecipativo, come avviene in un paese della costa ascolana.

 

Quel che non si capisce è dove inizi e dove finisca il corteo, tutta Roma è un corteo. Alle 19 anche Trinità dei Monti è un corteo che scende e risale da piazza di Spagna verso via Frattina e via del Corso, pacifisti e giapponesi che si mescolano e si fotografano a vicenda schivando assembramenti esagerati di poliziotti, carabinieri e quant’altro che sembrano asini in mezzo ai suoni, fuori posto più o meno come un lunghissimo dirigente della sinistra che si affaccia a un corteo pieno di suoi elettori, ma neanche loro ce lo vogliono nel corteo. A proposito di carabinieri, quelli di Nassiriya, tutti li rivorrebbero a casa, qualcuno addirittura suggerisce: «Tornate a farci le multe». E’ pieno di «ingegneri di pace», «traduttori di pace». Ci sono anarchici che si chiamano «Gruppo Kronstadt contro la guerra», costretti a spiegare a tanti curiosi dov’è Kronstadt, e cosa vi capitò più di ottant’anni fa. Per imparare la storia anche le manifestazioni possono tornare utili. Una citazione di un’organizzazione possiamo farla: si tratta di Emergency, che ha dato un segno – positivo – alla giornata mondiale contro la guerra targata Roma. Domanda cretina: ma oltre che contro la guerra, questi due milioni di persone saranno anche contro il terrorismo? Le domande cretine non meritano risposta. Madrid brucia sulla pelle di tutti i camminatori iridati. Madrid però non è rimasta senza risposta. Ha moltiplicato le forze, i pullman e i treni, anche la Cgil ha avuto uno scatto di reni dopo Madrid, ma tante Camere del lavoro, la Fiom e la Funzione pubblica non hanno avuto bisogno di altri 200 morti per continuare un cammino mai interrotto, almeno da Genova 2001. Sergio Cofferati guarda la piazza, forse la riconosce. E’ una piazza che cammina dietro idee semplici e fantastiche, più che dietro uomini e bandiere. Dovremmo rifletterci tutti.