Se il nome giusto della politica fosse amore?
Alberto Leiss
17 Settembre 2024
di Alberto Leiss
Non cessa lo spettacolo inquietante e misero di un mondo in cui sentiamo le nostre vite appese ai cattivi sentimenti di uomini che stanno lì a misurarsi il missile dalla gittata più lunga. Tra Ucraina, con i suoi alleati, e Russia, o tra Israele e gli Houthi dello Yemen. In mezzo la tragedia degli uomini, delle donne e dei bambini che muoiono, anche in altre parti del mondo, a migliaia, decine e centinaia di migliaia. Soldati e civili.
Oggi me la cavo citando due testi che osano parlare della politica come amore. A prima vista non sembra che ci siano relazioni possibili tra il “dialogo notturno” che intrattiene un uomo con la persona che ama, addormentata (ma il suo corpo forse è in ascolto), e la pluralità di voci diurne femminili e femministe (ma c’è anche qualche voce maschile) che si susseguono in incontri alla Libreria delle donne di Milano. Femminismo mon amour, è il titolo del volumetto che raccoglie questi ultimi. Riunioni domenicali sotto il segno della storica rivista Via Dogana, che da un po’ di anni è un luogo virtuale sul web, ma che ora sente il bisogno di riprodurre anche una testimonianza cartacea.
Eppure è proprio Lia Cigarini, tra le fondatrici della Libreria (spazio che l’anno prossimo celebrerà mezzo secolo di vita) a citare l’autore in questione: «…molti uomini l’hanno già capito, dopo il disastro della politica maschile, che quella del partire da sé e della relazione è una forma politica viva ed efficace…». E in nota si legge: Niccolò Nisivoccia, Il silenzio del noi, Milano 2023. Un altro piccolo libro di cui mi è capitato qui di parlare. Del testo più recente, Un dialogo notturno, ha scritto su queste pagine Alberto Fraccacreta. Io mi limito a due citazioni: «L’amore è un discorso, innanzitutto, è una conversazione…». «…secondo me non esiste differenza fra la politica e l’amore, fra l’amore e la politica. Anche la poesia: è politica anche quando nasce come poesia d’amore. L’amore come gesto anche politico, quindi; e la politica come forma d’amore, come forma di cura, come gesto concreto».
Anzi tre. Citazione di una citazione. Il padre del bambino morto su quella spiaggia turca, che ci aveva tanto commosso, quasi 10 anni fa. «Vi prego, chiamatelo Ãlãn e non Aylan, come hanno scritto tutti i media del mondo…». Un’imprecisione da poco? Ma sbagliare un nome, da parte della politica e dell’informazione, parla di una commozione finta. «Teniamo la vita a debita distanza, non vogliamo che ci tocchi…».
Amore e linguaggio diventano politica, cambiano le cose, solo se si incarnano nelle vite, nei nostri corpi, nelle relazioni con altre e altri. Forse questa è la chiave per leggere anche Femminismo mon amour. C’è una traccia forte nei 4 capitoli del libro, che corrispondono a altrettanti dialoghi. “Autocoscienza ancora”, “Il senso della politica e l’efficacia delle pratiche”, “Orientarsi con l’amore”, “È ora di cambiare”. Dalle domande su quanto resta vivo di invenzioni e esperienze del passato, al che pensare e che fare oggi, come interpretare le emergenze che viviamo. Delle tante opinioni e analisi espresse, mi resta l’ansia e la passione per la ricerca delle parole giuste e attuali. E anche la convinzione che l’amore e l’amicizia «è politica in quanto ha a cuore il mondo»: c’è un terzo tra noi due. E questo può avvenire anche se non c’è «accordo con l’altra».
Qualcosa di fondamentale quando anche il femminismo è attraversato da conflitti acuti. E che mette in guardia tutti dalla trappola delle identità chiuse e contrapposte.
(il manifesto, 17 settembre 2024)