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Domenica 16 fiaccolata del movimento contro l’allargamento della base Usa Dal Molin di Vicenza, nato quattro anni fa. «Gran parte del territorio – dice Olol Jackson al manifesto – è stata riconquistata dai cittadini e restituita alla città. Il Parco della Pace rappresenta tutto questo» Orsola Casagrande «Il ricordo più nitido che ho di quel 16 gennaio 2007 è il viso della suora che mi stava accanto mentre occupavamo i binari della stazione di Vicenza». Olol Jackson, uno dei volti più conosciuti del movimento No Dal Molin, ripercorre questi quattro anni di lotta contro il progetto degli Stati uniti (avallato e sostenuto, anche economicamente, dai governi italiani di destra e di sinistra) di costruire una nuova base militare nella città veneta. «Sono passati quattro anni – dice – e il volto di quella suora mi è rimasto impresso perché in qualche modo rappresenta la sintesi di un sentimento comune che ha visto tutti i settori della società vicentina uniti nel dire no alla base statunitense. Quel 16 gennaio di quattro anni fa – insiste – c’erano tutti sui binari. C’era la suora, c’erano gli studenti, c’erano avvocati, impiegati di banca, casalinghe, operai, giovani e vecchi». Una lotta di popolo, di una città che si era sentita violata. «Sì – dice Olol – la città si è sentita offesa. E si è ribellata. La lotta contro il Dal Molin è la rivendicazione di una comunità sul proprio territorio. L’offesa è stata grande anche perché l’annuncio del sì del governo Prodi agli USA è arrivato dall’estero – aggiunge Olol – e ha dimostrato la pavidità di un governo, per di più di centro sinistra, che non ha nemmeno avuto il coraggio di venire a dialogare con i cittadini di Vicenza». Quattro anni. Quanta acqua è passata sotto i ponti. E pure sopra, visti i disastri dell’alluvione di qualche settimana fa. Catastrofe naturale, ma solo in parte, come sottolineano esperti che stanno monitorando l’impatto del cantiere al Dal Molin sul sistema idrogeologico dell’area. «Bugie – dice Olol – continuano a raccontarci che la falda acquifera non risentirà dei lavori del cantiere. Ma sappiamo che già gli equilibri del territorio sono stati toccati. Ce lo dicono gli esperti, non pericolosi sovversivi. E se vogliamo dirla tutta – insiste – forse si spiega meglio, dopo gli esiti dell’alluvione, la lettera del commissario per il Dal Molin Costa all’allora ministro degli interni Parisi. Costa diceva che non era importante fare la Valutazione di Impatto Ambientale». Domenica, quattro anni dopo l’editto di Prodi, Vicenza scenderà in piazza nuovamente. Una fiaccolata che non sarà «una ricorrenza funebre – come dicono al Presidio Permanente – quelle vanno bene per chi non ha più niente da dire». Al contrario la fiaccolata vuole essere un ritrovarsi dei vicentini pacifico e ricco di contenuti, pieno di quella stessa dignità e orgoglio che «avevamo inaspettatamente incrociato quattro anni fa, capace di far sentire ancora forte la propria voce, tutt’altro che sconfitta». In troppi infatti hanno liquidato e chiuso il «capitolo Dal Molin» sostenendo che i «ribelli» avevano avuto il loro «contentino» (leggi il Parco della Pace) e quindi avevano finito di protestare. «Troppo facile, – dice Olol – noi siamo realisti. Vediamo tutti il cantiere che avanza. Ma bisogna anche essere onesti intellettualmente. E allora Vicenza non ha perso. Torniamo indietro nel tempo, a quattro anni fa – dice ancora Olol – e pensiamo ai progetti che gli Usa avevano sventolato. La base si sarebbe dovuta estendere su tutta l’area del Dal Molin. Guardiamo al progetto oggi». Una fetta molto più piccola di quell’area è sotto bandiera statunitense. «Una grande parte di territorio – dice Olol – è stata riconquistata dai cittadini e restituita alla città. Il Parco della Pace è questo. Teniamo presente chi avevamo di fronte. Gli americani, il governo italiano, le amministrazioni. Per questo il Parco della Pace è una vittoria. La sfida naturalmente – aggiunge Olol – è farlo vivere, mantenere quello spazio di libertà conquistato e renderlo luogo di fermento e attività». La fiaccolata di domenica avrà tre parole d’ordine: verità, trasparenza e giustizia. «Sono le tre coordinate – dice ancora Olol – che rappresentano la nuova fase del movimento No Dal Molin. Quello che avevamo intuito, e cioè che il progetto avrebbe impattato negativamente sulla falda acquifera, oggi è una realtà. Verità dunque, perché la città ha diritto di sapere. Abbiamo mandato a casa un’amministrazione comunale che aveva messo sotto le scarpe la trasparenza. Che invece è il perno nel rapporto tra cittadini e amministratori». Lo dovrebbe aver imparato il centro sinistra (cancellato dal parlamento e da tante amministrazioni). Eppure non ci sono segnali in questo senso. «Il problema – dice Olol – rimane proprio questo: come si riconnettono fili che sono ancora oggettivamente spezzati? Noi siamo sempre stati disposti al dialogo, anzi lo chiedevamo. Chi ha rifiutato il confronto con i cittadini sono stati altri». Vicenza oggi, quattro anni dopo, è certamente cambiata, segnata da questa lotta. «Era una città che non si conosceva – dice Olol – che si sfiorava ma non comunicava. Il No Dal Molin, il presidio sono diventati occasione di costruzione di nuovi rapporti, di una presa di consapevolezza del territorio, non in senso locale e nimby. Al contrario pensare locale per agire globale. Perché il problema base militare parte dal locale ma è un problema globale come è evidente». Vicenza che è stata instancabile nella campagna delle firme per l’acqua. Una nuova attenzione ai beni comuni, un senso di appartenenza in senso solidale e anti Lega. Domenica dunque il movimento No Dal Molin celebrerà una sorta di nuovo inizio. Ripartendo dal Parco della Pace.