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La Corte suprema canadese ha dato torto al contadino che sei anni fa aveva trovato nel suo campo semi geneticamente modificati. Noi sappiamo che ha ragione. Aspettiamo il tribunale che gli darà ragione.
(La Redazione del sito)

Canada, il gigante biotech vince la causa sui contadini
Per la Corte suprema la multinazionale Usa «ha il diritto di brevettare semi gm». Gli ecologisti: «Così Monsanto potrà continuare a inquinare i campi»
di Daniela Sanzone – Toronto

Per l’ennesima volta il Canada si pone all’attenzione del mondo per una decisione storica. Ma in questo caso non è in nome dei diritti delle cosiddette minoranze o dei più deboli. La Corte Suprema canadese ha piuttosto difeso il gigante biotecnologico americano Monsanto, riconoscendone per legge – per la prima volta in assoluto – il diritto di brevettare i semi geneticamente modificati. Ne esce sconfitto Percy Schmeiser, coltivatore di Bruno, in Saskatchewan. Questi, secondo la Corte, avrebbe infranto i diritti della Monsanto, avendo piantato nella sua proprietà, senza averli regolarmente acquistati e senza dunque sottostare alle strette regole dell’azienda, i semi di canola (un tipo di mais) modificati e quindi resistenti all’erbicida. La vicenda va avanti ormai da sei anni e è stata definita la battaglia di Davide contro Golia. Ricordiamo i fatti. La Monsanto – con sede a St. Louis, Missouri, valutata sui 4.9 miliardi di dollari di introiti all’anno – ha fatto causa al contadino, accusandolo di aver rubato i semi, mentre lui continua a sostenere di non sapere neppure che si trattasse di semi geneticamente modificati, tanto che non aveva mai fatto uso del potente erbicida fornito dalla società stessa per difendere le coltivazioni. Sarà stato il vento, aveva detto Schmeiser, o un camion che li ha scaricati per sbaglio sulla proprietà. La ditta non ha sentito scuse o ragioni e ha chiesto il pagamento di quasi 20.000 dollari come percentuale dei profitti di Schmeiser, più altri 153.000 come risarcimento delle spese legali. Ma se la Corte ha dato ragione alla Monsanto, in un piccolo colpo di scena, ha anche sollevato il settantatreenne contadino dal pagamento preteso dalla ditta (proprio perché il potente erbicida non è stato mai utilizzato). I giornali hanno definito la decisione una gigantesca vittoria della biotecnologia e una devastante sconfitta per i critici dell’ingegneria genetica. «Nell’era in cui la manipolazione genetica gioca un ruolo complessivo – afferma Dana Flavelle sul Toronto Star – dalla ricerca sul cancro alle malattie del cuore, una decisione negativa nei confronti della più grande azienda biotecnologica avrebbe avuto una ripercussione negativa sugli investimenti in Canada».

 

E infatti, il vice presidente esecutivo della Monsanto, Carl Casale, ha subito commentato che la Corte Suprema «ha stabilito uno standard mondiale nella protezione di una proprietà intellettuale e questa decisione mantiene il Canada come un’attraente opportunità di investimento». Schmeiser e i suoi sostenitori, un gruppo di consumatori, ambientalisti e coltivatori, lo hanno definito invece un enorme passo indietro. La sentenza tra l’altro arriva a una settimana dall’abbandono da parte dell’azienda degli esperimenti genetici sul grano. E se il sindacato nazionale degli agricoltori parla di violazione del diritto acquisito ormai da tempo dei contadini di mietere e sviluppare i propri semi e li pone nelle mani dei giganti internazionali, il Council of Canadians avverte che la Monsanto potrebbe ancora perdere la propria battaglia «nella corte dell’opinione pubblica». Pat Venditti, portavoce di Greenpeace Canada, dichiara che in questo modo la corte consente alla Monsanto di «continuare a inquinare i campi degli agricoltori e a minacciarli con costose cause». Il Canada, afferma Venditti, ha preso una posizione del tutto dalla parte del mercato, ignorando i consumatori e i rischi che queste coltivazioni comportano».