«Musulmano o inglese? Aut aut inaccettabile»
27 Luglio 2005
Salma Yacoobi, leader di Stop the War, parla da Birmingham dei timori delle comunità islamiche britanniche
Orsola Casagrande
Salma Yaqoob è una donna minuta e dall’aria timida. Ma la sua voce e la sua personalità l’hanno resa una delle più carismatiche leader di Stop the War Coalition, la coalizione nata dopo l’11 settembre 2001. Lei della coalizione è presidente a Birmingham, la città dove abita. E alle scorse elezioni, come candidata di Respect, è stata battuta per soli tremila voti dal candidato Labour a Sparbrook e Small Heat (che vanta una presenza musulmana pari al 37%). Salma ha tre figli piccoli ed è una psicoterapeuta. Dall’11 settembre però la sua vita è cambiata e lei, inglese musulmana (come sottolinea), è diventata una delle voci più note e apprezzate del movimento contro la guerra.
Cominciamo dagli arresti di oggi (ieri per chi legge, ndr) a Birmingham. Sembra che uno dei quattro arrestati sia uno dei presunti attentatori del 21 luglio. Cosa sai?
Più o meno quello che dicono i media. E cioè che in due case di un quartiere della città sono state arrestate quattro persone. L’uomo che sembrerebbe essere uno dei ricercati per i falliti attentati del 21 luglio è stato arrestato dopo una collutazione: i poliziotti hanno usato una pistola a scariche elettriche. Penso che inevitabilmente questi arresti aumenteranno la pressione sulla comunità musulmana della città. Dopo la morte del giovane brasiliano, ucciso `per sbaglio’ dalla polizia a Londra la paura è aumentata ed è tangibile. Naturalmente tutti ci auguriamo che i responsabili degli attentati falliti il 21 luglio siano arrestati al più presto, ma non possiamo accettare che le nostre libertà siano limitate o barattate in cambio della sicurezza.
Parliamo del clima che si respira a Birmingham
C’è una grande paura tra le gente in generale e nella comunità musulmana in particolare. C’è paura a salire sui mezzi pubblici, ad andare al supermercato. Ma quando atti atroci come queste bombe accadono l’indice viene puntato contro i musulmani. Ad ogni singolo musulmano si chiede di condannare gli attentati, che è comunque quello che ognuno di noi fa. Ci si chiede però anche di scusarci, di farlo pubblicamente. E questa è una cosa che non si chiede alle altre comunità. Voglio dire che quando l’Ira metteva le bombe in questo paese nessuno si aspettava che ogni singolo cattolico o ogni singolo prete si alzasse per chiedere scusa. In un certo senso veniamo comunque associati alle bombe, anche se ci dissociamo dagli attentati. Credo comunque che dobbiamo essere realisti e accettare che da parte dei non musulmani ci sia una genuina paura. Dobbiamo accettare che ci venga chiesto cosa pensiamo. Sarebbe più semplice dire che non dobbiamo giustificarci perchè anche noi siamo contro questi attentati, anzi anche noi ne siamo vittime. Ci sono molte emozioni e sentimenti contraddittori in questo momento, e molta gente pensa seriamente a dove potrebbe andare se fosse costretta dalle circostanze a lasciare questo paese. La paura maggiore è non sapere dove tutto ciò andrà a finire.
Cosa sta accadendo dentro la comunità musulmana?
C’è decisamente un grande risentimento. Soprattutto perché ci viene posta costantemente una domanda: sei musulmano o sei inglese? Come se le due cose fossero incompatibili, anzi come se una escludesse l’altra. Ma è come se mi chiedessero se sono una donna o se sono una inglese. Sono entrambe le cose. Il fatto stesso che si continui a porre questa domanda dimostra che l’essere musulmano, che dovrebbe essere una scelta privata di ciascuno, non è riconosciuto come tale. Eppure questa è una società che si dice non razzista, e in parte è assolutamente vero. In confronto a molti altri paesi, questo ha probabilmente un modello migliore di multiculturalismo. La realtà è che ci troviamo in questo singolare dilemma a causa della politica estera del governo. Il nostro governo ha scelto di percorrere la strada della guerra al terrore, alleandosi con George Bush. E per giustificare questa guerra deve identificare un nemico in termini chiari. L’islam integralista è il nemico. E quando Tony Blair si ostina a dire che le bombe di Londra non hanno nulla a che fare con l’Iraq o con l’Afghanistan ripete lo stesso refrain di Bush, e cioè che tutto questo accade perché ci sono persone che odiano il nostro modo di vita. E queste persone sono i musulmani. Negando qualsiasi legame con l’Iraq, Blair sta cercando di salvare se stesso: ammetterlo equivarrebbe ad accettare una parte di colpa. E’ indubbio che ci siano degli estremisti che giocano e usano le emozioni e i dolori della gente per quanto accade in Iraq, ma l’Islam dice chiaramente che non si deve togliere la vita a un innocente. Noi condanniamo il terrorismo nel nome della democrazia ma condanniamo anche il terrorismo nel nome della religione.
Il deputato Labour musulmano Shahid Malik ha detto ai Comuni che la scelta è una: togliere voce a chi è stato tollerato fino a questo momento, cioè agli estremisti. Insinuando così che la comunità musulmana ha chiuso gli occhi di fronte agli estremisti. Che ne pensi?
Che è falso: noi non abbiamo mai dato voce agli estremisti. Questa gente non va solo contro ai non musulmani. Colpisce, direi quasi in primo luogo, i musulmani. Ci danneggiano. Non hanno rispetto per la vita, dei musulmani e dei non musulmani. Per questo nessuno di noi lascia spazio a queste idee. L’idea che in qualche modo sia colpa nostra perchè li abbiamo lasciati all’interno della nostra comunità è da rigettare. Questi estremisti sono gli stessi che la Cia e i governi occidentali hanno aiutato in Afghanistan, quando combattevano contro l’Urss. Hanno reclutato in tutto il mondo, hanno dato vita a questo concetto estremo di jihad e l’hanno fatto con l’appoggio o comunque con il placet dei governi occidentali. Quello che stiamo vivendo oggi ha radici profonde, non è nato oggi, o dopo l’11 settembre 2001.
Come cambierà il dibattito all’interno della comunità musulmana dopo questi avvenimenti?
Rimane il problema reale dei ghetti. Le comunità sono divise in ghetti. Anche a Birmingham ci sono zone in cui c’è una unica etnia, ma in generale le cose stanno cambiando. La gente si sta mescolando. Ci sono zone miste. La comunità musulmana qui è molto giovane. E i giovani vanno all’università, ai college e si mescolano molto più che in passato. Quello che mi preoccupa è che tutto questo parlare di estremismo islamico diventa un parlare dell’intera comunità, considerata luogo di criminali. Bisogna stare attenti a cosa ciò può provocare, all’identità di questi giovani, alla loro autostima. Non sono stupidi, vedono cosa succede nel resto del mondo. Vivono una realtà in cui i cittadini sono trattati in modo diverso. Da una parte i cittadini di serie A e dall’altra quelli che possono essere trasformati in capri espiatori. Ci sono due possibilità: qualcuno continuerà a nascondere la testa nella sabbia, e s isolerà ancora di più. «tanto ci odiano comunque». Oppure ci sarà chi cercherà dicoinvolgersi ulteriormente nel tentativo di cambiare questa situazione, e troverà altre persone che condividono questo senso di ingiustizia. La linea non verrà tracciata sulla base di appartenenze religiose o etniche, perché quello che è in gioco è la giustizia, le libertà individuali. A livello interno e internazionale. La gente ha paura di parlare, questa è la realtà in molte aree. La pressione è così pesante che la gente preferisce stare a casa. Io sto organizzando incontri ovunque con la comunità, ma anche con i non musulmani, proprio per favorire il dialogo e per continuare a lavorare sulle rivendicazioni comuni, come facciamo in Stop the War. Che ha cambiato qualcosa nella cultura politica di questo paese, io credo.