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di Traudel Sattler


La Svezia, che dopo quarant’anni di neutralità ha chiesto e ottenuto, attraverso la sua leader Magdalena Andersson, di entrare nella Nato, è anche stato il primo paese a introdurre ufficialmente, nel 2014, una “politica estera femminista”. Una contraddizione eclatante. Con un lavoro durato quattro anni è stato pure elaborato un “Manuale” che illustra metodi e esperienze di tale politica. Sono andata a leggerlo e mi sono subito accorta che porta in sé tutti i limiti del femminismo di stato. La politica estera femminista è organizzata intorno a tre R: rights (diritti), representation (rappresentanza) e resources (risorse). In sostanza,si muove nell’orizzonte della parità dei diritti, dell’accesso delle donne nei posti decisionali, della loro partecipazione nella prevenzione dei conflitti e nelle trattative di pace e di disarmo. Principi in realtà già sanciti nella Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “Donne, pace e sicurezza” del 2000. Ma mi chiedo: con quale forza le donne possono agire, con le mediazioni date e alle procedure pensate da altri? Infatti, dal 2000 in poi i percorsi sono stati quelli prestabiliti: anche in presenza di molte donne, definite “agenti di cambiamento”, si sono infoltiti e ampliati i documenti, le commissioni, i piani di azione… E ora che c’è una guerra aperta in Europa e la politica estera dovrebbe attivarsi, molti dei principi “femministi” che già prima sembravano solo dichiarazioni d’intenti si rivelano del tutto inefficaci e tutta questa codificazione limita l’orizzonte del pensiero.
Quando mi capita di vedere in TV Annalena Baerbock, ministra degli esteri tedesca – anche lei fautrice una politica estera femminista – il dilemma lo sento lacerante: prima snocciola, a mo’ di provetto generale, una serie di nomi di carri armati, obici e sistemi di difesa sofisticatissimi da mandare in Ucraina, in una logica di netto schieramento, poi cita i miliardi di aiuti umanitari per le popolazioni martoriate in varie parti del mondo; infine nel dibattito sui giganteschi investimenti per l’esercito tedesco racconta i suoi incontri con le madri di Srebrenica che le hanno descritto le pesanti conseguenze della guerra di cui soffrono tutt’ora. Penso che contraddizioni lancinanti la attraversino: lo fa per discolparsi? per tornare al suo programma femminista? E mi domando: Come potrà ritrovare sé stessa?
Se penso alla pandemia, mi torna in mente che molte donne di governo hanno gestito quella situazione difficilissima con signoria, mostrando forza e autorità di origine femminile. Ora mi chiedo: che cosa ha scatenato la guerra in queste donne che hanno raggiunto posti di comando? È una contradizione aperta su cui bisogna continuare a riflettere.

Recentemente sono stata in Germania e ho visto un documentario bellissimo del 2021, Le Inflessibili, del giornalista e regista Torsten Körner, sulle donne in politica dagli anni ’50 fino alla riunificazione. Mi sono chiesta perché questo filmato mi ha così emozionata, come mai proprio un uomo è capace di restituire spessore a queste pioniere della politica parlamentare. Ho capito che c’è di mezzo la sua presa di coscienza. È la sua reazione di fronte a tutto il materiale documentario che lo porta a costringere sé stesso e i suoi simili a guardarsi allo specchio. È proprio il processo autocoscienziale che gli ha dato l’intelligenza per vedere il di più femminile, la radice della forza. Infatti, la forza quando c’è va anche vista! Nel documentario si vedono ricchi materiali di archivio dal parlamento tedesco e interviste fatte oggi, nelle austere sale dell’ex parlamento a Bonn, alle protagoniste di allora che raccontano la propria esperienza con un misto di ironia, amarezza e una chiara voglia di vincere. Al di fuori di qualsiasi logica partitica parlano delle loro lotte, delle offese e umiliazioni subite, in un territorio difeso dai detentori del potere con strategie che conosciamo tutt’ora, ridicolizzare, denigrare, sminuire, ignorare con ostentazione… Ma parlano anche di gesti dirompenti: memorabile il primo discorso della deputata Waltraud Schoppe che a proposito dell’aborto invita gli uomini a evitare “penetrazioni irresponsabili” e a inventare pratiche sessuali  alternative, con conseguente tumulto imbarazzato nei banchi del parlamento. Oggi le intervistate parlano da una posizione di signoria ormai acquisita, sicuramente grazie al movimento delle donne che ha dato loro la forza e le parole per mostrare la miseria simbolica e la limitatezza di quelle strutture create a misura d’uomo, e per creare una genealogia che ha aperto la strada anche a Angela Merkel.
Körner aveva già pubblicato, nel 2020, un libro sulle “Donne nella repubblica degli uomini”, ma è proprio grazie al materiale visivo dissotterrato dagli archivi che l’operazione diventa così efficace: fa vedere bene anche gli uomini. Sono i gesti, le risatacce, le pacche cameratesche sulle spalle del compagno di partito, l’incredulità e l’imbarazzo nelle facce degli onorevoli di fronte alla verità di una donna, che mostrano come quel patto sessuale di cui parla Carole Pateman è profondamente iscritto nelle strutture politiche, anche in presenza di molte donne. Prima di capirlo, l’autore, intento a scrivere una biografia familiare dell’ex cancelliere Willy Brandt, aveva ascoltato molte testimonianze di donne politiche, mogli di politici e contemporanee di Brandt, scoprendo così la ricchezza del pensiero politico femminile e il suo proprio “orizzonte storico limitato”. Nel libro dice: “Il loro concetto di politica mi sembrava più differenziato di quello degli uomini, ed essendo quelle che dovevano tenere insieme le famiglie, vedevano con maggiore chiarezza le devastazioni e le deformazioni che la vita politica può portare nelle vite”. Di conseguenza, tutta la storia della repubblica di Bonn com’era stata scritta finora, di colpo gli sembrava “una cosa estremamente riduttiva, unilaterale e monotona”. Si è reso anche conto che non si poteva rimediare con una galleria di donne da affiancare a quella degli uomini, come una “correzione cosmetica a posteriori, un ritocco di vecchie fotografie”. Vuole quindi mostrare molto di più: come mai tutt’ora molti uomini e molte donne fanno fatica a riconoscere i meriti delle donne, come mai alle donne che scelgono la politica istituzionale talvolta mancano i modelli. È come se gli uomini al potere non avessero solo lasciato voluminose autobiografie, ma anche degli “algoritmi efficaci” che riproducono il loro linguaggio corporeo come quello verbale, creando un ordine simbolico inconsapevole a molti dei suoi stessi attori. L’autore invita i suoi simili a superare questi limiti del proprio sesso, del proprio pensiero, a cogliere l’occasione per un “viaggio verso di lei, dove lui si può perdere senza subire una perdita, perché qui comincia un dialogo che comprende l’essere umano intero. Ovviamente ci sono delle barriere, ma la possibilità di tornare arricchiti da tale viaggio mi sembra maggiore del suo contrario. E se si dovesse subire una perdita, spero che sia in primis quella della propria ristrettezza mentale”.
La stessa Angela Merkel, invitata alla prima, ha augurato che non solo molte spettatrici, ma anche molti spettatori assistano alle proiezioni di questo documentario. E io sono perfettamente d’accordo con lei.


Manuale di politica estera femminista svedese: https://www.government.se/reports/2018/08/handbook-swedens-feminist-foreign-policy/,

Torsten Körner: In der Männer-Republik. Wie Frauen die Politik eroberten. Köln, 2020

Torsten Körner: Die Unbeugsamen. Film documentario, 2021


(Via Dogana 3, www.libreriadelledonne.it, 10 luglio 2022)