Le famiglie dei caduti in Iraq contro Bush
12 Marzo 2004
Dopodomani la prima marcia sulla Casa Bianca. A Baghdad muoiono altri due soldati Usa
Bruno Maolo
WASHINGTON In segno di lutto, Jenifer Moss indossa una maglietta bianca. A 29 anni è vedova con tre bambini. Suo marito, il sergente Keelan Moss, è morto. in novembre in Iraq, su un elicottero abbattuto da un missile dei guerriglieri. Sulla maglietta di Jenifer vi è una scritta.in caratteri rossi: “Sostenete i nostri soldati, destituite George Bush”.
Domenica 14 marw, un gruppo di donne come Jenifer, mogli e madri di militari caduti, marceranno sulla Casa Bianca. Per il 20 marzo, nell’anniversario dell’invasione, è in programma una dimostrazione di protesta davanti al ranch di Bush a Crawford nel Texas. “Mio marito – accusa Jenifer – è stato mandato a morire con un pretesto. Le armi di sterminio non sono state trovate”.
Forse per la prima volta negli Stati Uniti, si sviluppa un movimento pacifista organizzato dalle famiglie dei combattenti. Si chiama “Military Families Speak Out” e ha raccolto più di mille adesioni sul suo sito internet. Vuole accompagnare la campagna elettorale di George Bush con manifestazioni di denuncia. Tra i suoi attivisti si sono schierati uomini e donne che in maggioranza hanno votato per questo presidente quattro anni fa, ma hanno perso la fiducia in lui quando hanno appreso che in Iraq non esistevano armi di sterminio. Il reverendo Tandy Sloan, un pastore protestante di Cleveland nell’Ohio, ritiene Bush responsabile della perdita di suo figlio Brandon, 19 anni, caduto in battaglia un anno fa durante l’avanzata verso Baghdad. “Provo disgusto – spiega – quando ascolto le dichiarazioni del presidente in televisione. Sbagliare è umano, ma non si può perdonare chi ha ingannato volontariamente la nazione”. Ronald Spector, docente di storia militare alla George Washington University, conferma: “Non vi sono precedenti di portata così vasta. Se le famiglie dei militari cominciano ad avere gravi dubbi sulla necessità della guerra e non credono che ci sia un motivo accettabile per la presenza dei loro ragazzi in Iraq, si tratta di un fenomeno nuovo e molto significativo”. Durante la guerra in Vietnam, le madri di alcuni caduti avevano partecipato a una marcia di protesta, ma erano meno di venti. Inoltre, la guerra durava da anni e andava di male in peggio quando erano cominciate le manifestazioni di dissenso. Il sito Internet ({Military Families Speak Out” è stato creato da due famiglie prima dell’invasione dell’Iraq. Quando le truppe americane hanno attraversato la frontiera altre 200 famiglie hanno aderito, e altrettante dopo i bombardamenti aerei sulle città irachene. “Bush – proclama il sito – dice ai guerriglieri in Iraq di farsi sotto, ma noi diciamo a lui di riportare subito a casa i nostri figli, di dire la verità invece di nascondere il numero dei caduti”. La guerra in Iraq è costata alle forze armate americane 533 morti e 3200 feriti. “Quanti altri giovani dovranno morire perché questo presidente non ha il coraggio di confessare di aver commesso un terribile errore, e di mettere fine all’occupazione?”, domanda Cherice Johnson, vedova di un marinaio ucciso da un cecchino mentre il suo reparto si avvicinava a Baghdad un anno fa. Richard Dvorin, padre di un soldato dilaniato da una mina, ha scritto al presidente Bush: “Dove sono gli arsenali di armi chimiche e biologiche? La vita di mio figlio è stata sacrificata in una guerra inutile”.
L’Internet ha dato alla protesta una dimensione che non sarebbe stata possibile ai tempi della guerra in Vietnam. Quando Marianne Brown, 52 anni, ha organizzato una veglia a lume di candela a South Haven nel Michigan, reggendo la foto del figlio soldato in Iraq, soltanto una decina di donne si è unita a lei. La gente della sua città le gridava insulti, e la sua auto è stata rovinata con graffiti ingiuriosi. La notizia, pubblicata soltanto da un giornale locale, si è diffusa sulla rete. Le famiglie contrarie alla guerra si sono messe in contatto, e hanno dato vita a una organizzazione nazionale. Sono una minoranza, ma la loro voce non può più essere ignorata.
La protesta contro la guerra si diffonde negli ambienti più conservatori. John Bugay, 44 anni, di Pittsburgh, si vanta di non avere mai votato per un candidato del partito democratico. Ora ha fondato un sito di nome republicansforkerry.org. “Mi sento tradito da questo presidente di guerra”, si sfoga.
Intanto lo stillicidio dei morti prosegue. Ieri sera sono rimasti uccisi altri due soldati americani a Baghdad. Il loro convoglio è saltato su una mina.