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Visita alla Cipla, industria farmaceutica indiana: da Gandhi e Nehru alla legge contro i brevetti, fino alla contemporanea battaglia contro la “proprietà intellettuale”, una storia intrecciata all’idea di autosufficienza e bene pubblico
Marina Forti

Nella saletta dove riceve gli ospiti, il signor M. K. Hamied mostra le foto di suo padre con il Mahatma Gandhi e con Nehru, guida del Congresso Nazionale Indiano e poi primo premier dell’India indipendente. Una foto ritrae Gandhi, avvolto nel panno di khadi bianco che lui stesso filava, in visita ai Laboratori Cipla nel 1939: allora era la prima e unica azienda farmaceutica indiana. Ad accoglierlo c’era K. A. Hamied, il fondatore dei Laboratori e padre del nostro interlocutore, insieme alla dottoressa Sushila Nayar, biochimica che ha avuto parte importante nell’avviare quest’impresa. Oggi la Cipla è nota per produrre ottimi farmaci “generici” a una frazione del costo imposto dalle grandi case occidentali, e conduce una battaglia contro monopoli e brevetti. E in questo è coerente con una storia che torna indietro appunto agli anni `30 del Novecento, quando la famiglia Hamied era parte di quell’élite nazionalista che lavorava per un’India non solo indipendente ma anche autosufficiente e attenta al suo sviluppo sociale. I “Chemical Industrial and Pharmaceutical Laboratories”, Cipla, sono nati a Bombay nel 1935 per iniziativa del dottor Khwaja Abdul Hamied appena tornato da Berlino, dove si era specializzato in chimica. “Fondare un’azienda era un po’ una follia allora, anche perché mio padre non aveva capitali: raccolse i soldi tra parenti e amici, vendette i gioielli di famiglia. Ma aveva un’idea, e coraggio”, dice il signor M. K. Hamied (uno dei due figli del fondatore: il fratello è il presidente dell’azienda). “La prima svolta è arrivata con la guerra, quando le vie marittime erano insicure e i farmaci non potevano arrivare facilmente dal Regno Unito: l’unica azienda che poteva produrli in India ha avuto un grande vantaggio”. Così quando l’India è diventata indipendente, nel 1947, la Cipla era ormai un’azienda solida, produceva nel vecchio laboratorio nel centro di Bombay ma cominciava a espandersi – è del 1951 l’edificio dove ci troviamo, costruito accanto a quello originario, oggi sede degli uffici centrali.

 

I farmaci più costosi del mondo

 

Il problema era che i farmaci indiani erano costosi, e il motivo stava nei brevetti. “Tutto ciò che producevamo era sotto brevetto britannico”, spiega il signor Hamied, “e il risultato era che i nostri farmaci erano i più cari del mondo, come dimostrerà un’indagine del Congresso degli Stati uniti nel 1965. Era l’epoca in cui nel mondo arrivavano i primi antibiotici, ma l’India non poteva permetterseli”. Negli anni `60 si è sviluppato dunque in India un movimento d’opinione contro i brevetti: ha mobilitato deputati, forze politiche, case farmaceutiche, il sistema sanitario, organizzazioni della società civile. Furono istituite commissioni parlamentari di indagine sul sistema sanitario e tutte puntarono il dito sui brevetti farmaceutici: argomentarono che un paese con (allora) oltre mezzo miliardo di abitanti, e malattie che facevano strage benché fossero curabili, doveva potersi permettere i farmaci che produceva. In quegli anni del resto l’India aveva preso diverse misure per espandere l’industria nazionale, lavorava per uno sviluppo tecnologico e scientifico autoctono, oltre che per l’autosufficienza alimentare. “Infine Indira Gandhi nel 1972 ha varato la nuova legge sui brevetti. L’India non riconosceva più brevetti sui prodotti farmaceutici, ma solo su certi procedimenti”. I brevetti sui medicinali, come del resto il cibo, erano aboliti.

 

L’abolizione dei brevetti

 

E’ stata la vera svolta. Diverse aziende farmaceutiche indiane sono nate allora. La Cipla si è trovata in buona posizione perché, spiega il dottor Hamied, aveva gli scienziati chimici e biochimici capaci di sintetizzare i principi attivi necessari a produrre diversi farmaci, e li vendeva ad altre aziende. “Le grandi multinazionali pensavano che non ce la saremmo mai cavata, non avremmo potuto fare altro che copiare i farmaci che avevamo già in produzione. Invece ce l’abbiamo fatta, anzi è stato un momento di boom. Abbiamo cominciato a fare dagli antibiotici agli aerosol per l’asma a tutta la gamma di farmaci contro malaria e tubercolosi”: il signor Hamid indica le vetrine che tappezzano la sala del ricevimento, un campionario completo, un’intera farmacia. “Le compagnie straniere restavano in India con i loro farmaci, solo che i nostri costavano molto meno”.

 

Oggi la Cipla ha 22 stabilimenti di produzione sparsi per l’India, occupa uno stuolo di giovani ricercatori e alcune migliaia di dipendenti. Ha centri di formazione, un centro per la ricerca di trattamenti antidolore per i malati terminali, un programma di educazione sull’Aids. Negli anni `80 i suoi stabilimenti sono stati ispezionati dalla Food and Drugs Administration degli Stati uniti (l’ente federale che controlla gli standard di medicinali e alimentari) e dall’equivalente organismo dell’Unione europea, e da allora ha cominciato a esportare.

Qui però si ripresenta il problema dei brevetti, in particolare da quando è entrata in scena l’Organizzazione mondiale del commercio: la Cipla esporta in paesi che non sono entrati nel Wto e non si considerano tenuti a onorare i brevetti, o paesi che sono nel Wto ma sono ancora nel periodo transitorio, il periodo di grazia prima di doversi adeguare alle norme di protezione dei “diritti di proprietà intellettuale”. O in paesi dove il mercato è così piccolo che le case farmaceutiche occidentali non si prendono la briga di intervenire…

 

Negli anni `80 però è entrato in scena anche l’Aids, e poi sono arrivati sul mercato farmaci che possono allungare in modo considerevole la vita dei malati di Aids, e renderla meno penosa. “Quando è comparso l’Azt abbiamo cominciato anche noi a produrlo perché ci sembrava un virus in espansione, anche qui in India”. L’Azt è stato presto soppiantato da altri farmaci, usati in cocktail che hanno cambiato la vita dei malati di Aids nei paesi occidentali. E hanno di nuovo messo in luce il problema dei brevetti.

Fece clamore nel 2000 la causa legale intentata da un cartello di 39 aziende farmaceutiche contro il governo del Sudafrica di Nelson Mandela, dove una legge nazionale dava il diritto al servizio sanitario di acquistare farmaci “generici” sul mercato internazionale per fare fronte a un’emergenza pubblica: e l’infezione da virus Hiv era di sicuro un’emergenza di salute pubblica. Il processo aperto a Pretoria, con proteste pubbliche mondiali, procurò una pessima pubblicità alle multinazionali farmaceutiche (che infatti poi ritirarono la loro causa) ed espose al mondo intero la realtà dei fatti: il trattamento-tipo per un malato di Aids è troppo costoso per diventare universale nei paesi poveri, e il suo costo astronomico è dovuto solo ai brevetti. Ad esempio: la terapia combinata di Stamudina, Nevirapina e Lamidruvina, una delle più diffuse, può costare da 7mila a 11mila dollari all’anno. La Cipla produce i tre farmaci, anzi li ha combinati in una sola pastiglia che chiama Triomune, ed esporta il trattamento per un anno al costo di 350 dollari (250 dollari per il mercato interno indiano). La differenza tra 350 e 11mila dollari sta tutta e solo nelle royalties percepite dalle case farmaceutiche proprietarie dei brevetti.

 

La guerra dei “generici”

 

Così la causa di “Big Pharma” contro il Sudafrica ha portato alla ribalta internazionale il nome della Cipla, una delle ditte che avrebbero potuto vendere i farmaci anti-Aids al paese africano. Ha portato alla ribalta anche l’esempio del Brasile, che è capace di produrre farmaci in proprio e ha deciso di farlo, sfruttando il periodo di grazia concesso dal Wto prima di dover onorare tutti i brevetti (il Brasile ha avuto successo nel fermare la diffusione del virus Hiv e nel dare cure a tutti i malati di Aids soprattutto perché ha un sistema sanitario basato sull’accesso universale: ma questo è un altro discorso). “In termini di mercato, l’Aids è cosa minore per l’industria farmaceutica: ma ha avuto grande risonanza emotiva e ha esposto il problema”, fa notare il signor Hamied, “il fatto è che Big Pharma è determinata a difendere i suoi brevetti”. In effetti, anche dopo che le aziende farmaceutiche hanno ritirato la loro causa, il governo sudafricano non ha cominciato a importare “generici”, dalla Cipla né da altri (le aziende farmaceutiche occidentali hanno invece cominciato a fare sconti drastici ad hoc a questo o quel paese africano). La pressione resta fortissima. Né vale solo per i farmaci anti Aids – malattie come la malaria, la tubercolosi o la dengue sono killer forse ancora più pericolose. La Cipla esporta con difficoltà: ad esempio in Camerun, Mozambico, Kenya, Thailandia, Uganda. “In Ghana abbiamo avuto un problema, esportavamo dei prodotti di cui la Glaxo rivendica il brevetto. Così hanno fatto pressione sul governo del Ghana e ci hanno impedito di esportare. Ora, due anni dopo, risulta che quel brevetto non era valido”.

 

L’adesione dell’India al Wto ha suscitato nuove polemiche, anche se non si può dire che oggi l’India veda la stessa mobilitazione civile che negli anni `60 aveva portato all’abolizione dei brevetti. Nel gennaio 2005 scadrà il periodo transitorio, e l’India dovrà allora ricominciare a onorare i brevetti (quelli registrati dopo il 1 gennaio 1995, quando sono entrati in vigore gli accordi generali sul commercio ed è stato istituito il Wto): ad esempio, la Cipla dovrebbe trovarsi a non poter più produrre il Triomune. Molti dei farmaci più diffusi risalgono a prima del `95, così l’effetto non sarà immediato: ma nel medio termine la ripercussione sul mercato interno indiano sarà devastante, dicono i dirigenti della Cipla.

“I prezzi saliranno a livelli europei, e questo significa che torneranno a essere proibitivi per gli indiani”, dice M. K. Hamied. Il signor Amar Lulla, che condivide con lui la carica di direttore esecutivo, rincara: “Nel 1972 le commissioni parlamentari avevano raccomandato di abolire i brevetti per garantire la salute pubblica: da allora nulla è cambiato nella situazione sanitaria generale del paese che possa giustificare di nuovo i brevetti”. I dirigenti della Cipla si battono per un sistema che chiamano “diritti automatici”, o “licenza obbligatoria”: “C’è un brevetto? Bene, pagherò le royalties dovute, ma devo avere il diritto di produrre quel farmaco. Un governo deve poter fare produrre i farmaci necessari al servizio sanitario. Invece ora non è solo questione di royalties, bisogna che il detentore del brevetto mi autorizzi a produrre”. La battaglia resta aperta.