Intervento di Oriella Savoldi ad un incontro a Sondrio
1 Marzo 2006
Ringrazio dell’invito che mi è stato rivolto da Remina Cossu per la Cgil e per lo Spi Cgil e per il taglio di apertura che caratterizza questa iniziativa.
Non è la prima volta che vengo a Sondrio: sono legata a questa città da molti anni per via di relazioni nate nell’ambito della Politica delle donne, in particolare con Marina Salacrist e Anna Fistolera, ma anche altre e vengo spesso per lavoro sindacale.
Seguo la realtà produttiva della Levissima, le molteplici situazioni, anche travagliate che l’attraversano e partecipo alle riunioni dei Direttivi provinciali della Flai di Sondrio, ambiente vivace ed accogliente.
Ho ascoltato la riflessione proposta da Remina e di cui l’invito a questa iniziativa offriva alcuni spunti.
Condivido quanto affermato che trovo dia bene l’idea di quanto sia risultata improponibile, inaccettabile, anacronistica se non offensiva dell’umanità femminile la colpevolizzazione delle donne attraverso l’attacco alla 194, trent’anni dopo la sua approvazione e 25 anni dopo il Referendum che ne ha impedito l’abrogazione.
Questo attacco però non è stato imprevisto.
Certo mi ha indignato e per questo ho colto favorevolmente la mossa di Susanna Camusso e Assunta Sarlo.
Sarlo ha mandato una mail, della serie facciamo qualcosa, e Susanna Camusso, fra le prime, l’ha raccolta.
E’ stata una mossa che ha dato la possibilità all’indignazione diffusa di potersi esprimere in iniziativa politica: molti incontri e lavoro di confronto fino alla grande manifestazione, quella del 14 Gennaio a Milano alla quale è seguita quella del 11 Febbraio a Napoli.
Iniziative che per me, più che un”usciamo dal silenzio”, hanno significato dire “adesso basta!”
Molte di noi conoscono, nella vita concreta, la situazione in cui, ad un certo punto, dopo aver portato molta pazienza, una donna dice” adesso basta!”
E lo dice, indignata del fatto che nella pesantezza, nell’inaccettabilità di quanto sta accadendo, nell’ingiustizia che sente consumarsi intorno a lei, nessuno se non lei, si trova nella condizione di dire “adesso basta!”
E questa esclamazione, che nasce da una modalità precisa di rapporto con quello che accade, crea una sospensione, un cambio del verso delle cose, uno spazio in cui si afferma sé stesse, ma anche la possibilità di esprimersi per altre e altri.
Gli slogan che hanno attraversato il corteo di Milano, ma anche di Napoli, testimoniano di questo spazio di libertà.
· SIAMO USCITE DAL SILENZIO
· NON CI PROVATE, LE STREGHE SON TORNATE
· RUINI METTI GIU’ GLI ZAMPINI
· RUINI BASTA
· MA QUALE FAMIGLIA, MA QUALE MINISTERO, VOI CI SFRUTTATE CON IL LAVORO NERO
· LIBERI E LIBERE DI SCEGLIERE
· IL PAPA AD AVIGNONE
· L’UNICA LEGGE E’ IL DESIDERIO
· ATTENTI, LE DONNE VOTANO DI PANCIA
· IL DIRITTO D’ABORTO NON SI TOCCA
· MAI STATE ZITTE
· SEXYSHOC
· LA PRECARIETA’E’ IL CONTRACCETTIVO DEL FUTURO
· COME E QUANDO ESSERE MADRE LO VOGLIO DECIDERE IO
· ABBASSO IL PAPA RE
· MAMMA PER SCELTA
· AMO CHI MI PIACE, LIBERA DI PROCREARE, SENZA CASINI LA MIA VITA, VOGLIO INVENTARE
· STOP ALLE MOLESTIE CLERICALI
· DIFENDERE LA 194
· SIAMO GIA’ CONSAPEVOLI
· VOGLIAMO LA PAPESSA
· VI FAREMO PAGARE L’ICI
· LIBERA- MENTE
· NON USATE LA MATERNITA’ CONTRO LE DONNE
· E DOPO TRENT’ANNI MI TOCCA TORNARE IN PIAZZA
· LA 194 NON SI TOCCA
· LE LIBERTA’ NON SI CONCEDONO, SI PRENDONO
· SE NASCE UN BAMBINO NON L’HA VOLUTO DIO, L’HO VOLUTO IO
· MENO-PAUSA, PIU’ MOVIMENTO
· LIBERE VOI, LIBERI NOI
· TREMATE, TREMATE LE STREGHE SON TORNATE, CON LE FIGLIE E LE NIPOTI NON AVRETE I NOSTRI VOTI
· IO SONO MIA
· AUTODETERMINATE@ESSERE LIBERE@,SE,QUANDO,COME, CON CHI VOGLIAMO, SOGGETTI! NON OGGETTI
· 194PAROLEPERLALIBERTA’
Sono queste parle, alcune delle tante che hanno animato le manifestazioni. Dai giornali, il giorno dopo quella di Milano, abbiamo letto che la manifestazione era stata “silenziosa”. Probabilmente questo giudizio nasce dal paragone con cortei più rivendicativi, e chi l’ha espresso non ha considerato le modalità con cui si è dato il lungo percorso di affermazione della libertà femminile: una rivoluzione pacifica e “sotterranea”, forse la più grande dell’era moderna, che trova riconoscimento nella percezione diffusa, ma non ancora del tutto colta nella sua originalità e portata di modificazione.
Ora nel verso cambiato delle cose, occorre continuare ragionare
Dicevo prima che questo attacco non era imprevedibile.
La Legge 40, sulla procreazione assistita, in un certo modo lo aveva anticipato.
L’inscrizione nella legislazione italiana della soggettività giuridica dell’embrione, prevalente alla stessa soggettività giuridica riconosciuta ad una donna, il cui interesse soccombe in caso di conflitto con quello dell’embrione, oltre che essere uno stravolgimento del nostro sistema legislativo, fin dai sui principi fondamentali, quelli sanciti dalla Costituzione, ha dato l’avvio alla recente campagna di riduzione dell’umanità femminile, alla colpevolizzazione delle donne per via dell’aborto.
Una campagna che vuole le donne ridotte a soggetto minore, non sovrano sul piano della legge, al massimo oggetto di accompagnamento ed assistenza da parte dello Stato e della Chiesa, a condizione che si facciano contenitore e veicolo per una nuova vita, ad ogni costo.
Ricordo la considerazione del cardinale Ruini al Forum del Progetto Culturale della CEI, 2 Dicembre scorso: la legge 40, disse il cardinale, ha segnato uno “spartiacque importante, visto che ha rappresentato un forte motivo di impegno, di unità fra cattolici italiani” e soprattutto “di incontro e convergenza con significativi rappresentanti della cultura laica”
E la convergenza a partire dal potere ecclesiastico, dai livelli istituzionali e dai mass-media, ha messo sul banco degli imputati le donne.
Cattolici e laici, per lo più uomini, che in questo modo, attraverso la legge ed il dibattito che hanno offerto in questo ultimo periodo, spesso tollerato se non alimentato anche da donne, hanno svelato che cosa pensano dell’umanità femminile e del rapporto fra uomini e donne.
Nella consapevolezza di quanto stava accadendo, un gruppo di giuriste aveva proposto di combattere la Legge 40 attraverso l’impugnazione della stessa. Proponevano la strada dell’ eccezione di costituzionalità per la forte violazione in essa contenuta del principio di uguaglianza fra i sessi, sancito dalla Costituzione Italiana.
Per quanto mi riguarda ho raccolto e rilanciato la loro indicazione convinta della necessità di non scivolare in un dibattito che riducesse al sì e al no, o, in qualche modo, interferisse pesantemente su materie delicate come quelle che riguardano la scelta di ricorso alla maternità assistita, sulle quali occorreva sì aprire una riflessione, ma ampia e rispettosa.
Oltretutto questa posizione mostrava di tenere in considerazione la caduta del referendum come strumento capace di favorire la partecipazione alle scelte democratiche nel nostro Paese.
Sono rimaste inascoltate, ha prevalso nell’assenza di uno scambio diffuso con le realtà politiche che le donne si inventano e si riconoscono, con il loro punto di vista, il ricorso al Referendum.
Oggi sappiamo l’esito. Certo le motivazioni ed i comportamenti che l’hanno determinato, sono molteplici, ma non smentiscono quella che il Cardinale Ruini riconosce come convergenza.
Non ho condiviso la scelta del Referendum, ma una volta indetto mi sono adoperata per la sua riuscita, per l’abrogazione delle parti più offensive di quella Legge.
Adesso, a distanza, si tratta anche di aprire all’autocritica o, nella migliore tradizione delle pratiche inventate dalla Politica delle donne, di interrogare l’esperienza per trarne insegnamento.
Quanto accaduto dice di quanto resti da fare per affermare una pacifica e civile convivenza, fra esseri umani differenti ma capaci di innescare dinamiche virtuose attraverso relazioni libere e rispettose.
Oggi, mentre si apre il referendum contro quella che viene chiamata “riforma della Costituzione” ed invece, altro non è che lo stravolgimento nell’equilibrio dell’insieme di garanzie pensate per mantenere in equilibrio il sistema dei poteri democratici, prodotto dalla prepotenza e dall’ingordigia di alcuni esponenti che occupano in maniera indegna i luoghi più importanti del sistema istituzionale, questa questione dell’iscrizione della soggettività giuridica dell’embrione va tenuta presente.
La vita comincia dal sì di una donna.
Non sono in questione convinzioni diverse circa l’origine della vita, ma il livello di civiltà raggiunto nel rapporto fra uomini e donne espresso dalla Legge.
La riduzione femminile sul piano della legge, espressione degli uomini che l’hanno approvata, è inaccettabile.
Sappiamo dell’atteggiamento di tutela nei confronti delle donne contenuto nel sistema legislativo, la stessa Costituzione ne offre un esempio. E’ un atteggiamento figlio di tempi in cui prevaleva lo stato di oppressione nei confronti delle donne, a cui ha fatto seguito, sul piano della legge, in tempi più recenti, quello teso ad affermare la parità fra uomini e donne.
La libertà femminile, nell’insieme delle leggi, trapela qua e là, più come uno specifico delle donne che la legge sa affrontare solo ” a parte”.
La libertà femminile si esprime nella distanza fra l’umanità che siamo, i desideri e i bisogni che ci muovono e l’orizzonte della Legge. Questa, espressione di Parlamenti fortemente segnati dalla presenza maschile, risente della interpretazione e della traduzione che gli uomini fanno dei desideri e dei bisogni femminili.
Non escludo che le cose possano cambiare. Oggi ci sono donne che aspirano ad assumere, non il potere, ma la responsabilità a quel livello come nell’amministrazione della città, nelle istituzioni, ovunque si tratti di concorrere a determinare il livello di convivenza fra uomini e donne.
Trovo che sia legittimo e che sia un aspetto della realtà sotto i nostri occhi.
Quello che io sottolineo e che invito a non sottovalutare è la forza che la Legge ha nella sua capacità di orientare i comportamenti; il suo funzionamento sul piano simbolico. Sappiamo, e non perché lo dico io, molta è la ricerca e l’elaborazione femminile oggi a disposizione, che la Legge è una invenzione maschile, un dispositivo inventato dagli uomini per regolare i propri comportamenti.
Certo la legge, si è visto nella storia, nella sua migliore volontà non è stata e non è indifferente alle istanze femminili, ma le ha raccolte nella disponibilità e nella capacità di traduzione degli uomini che hanno legiferato.
La stessa 194 fu il risultato avanzato di un compromesso fra i partiti più determinanti sul piano politico di allora, il PCI e la DC.
Non fu esattamente l’espressione della richiesta delle donne: ricordo il dibattito che aveva animato la realtà del femminismo di allora e sull’onda del quale si era misurata la spinta alla Legge.
Per quanto mi riguarda ero d’accordo, in sintonia con la contraddizione viva, ben espressa da uno slogan coniato dal femminismo: “vogliamo l’aborto, ma non vogliamo abortire”, con la richiesta di depenalizzazione dell’aborto allora considerato reato.
E non sulla rivendicazione del “diritto di abortire”, espressione che ancora oggi , nell’ascoltarla, mi fa rabbrividire.
La discussione fra le donne, le diverse posizioni, trovavano un punto di incontro che metteva d’accordo tutte sul fatto che occorresse avere accesso alla Sanità Pubblica.
Oggi la 194, chiarito che non è una legge abortiva, resta una buona legge, non solo perché riconosce alle donne il principio autodeterminazione in fatto di maternità, ma anche perché rappresenta uno spartiacque alla volontà di non tornare indietro.
Come dire che in tempi di libertà femminile, senza il consenso delle donne, indietro non si torna.
Certo permangono riflessioni che la legge non ha certo tacitato, del resto differente è lo stesso rapporto di uomini e donne con la Legge e non solo per via del percorso storico in cui si è andato definendo l’impianto legislativo attuale, o per il fatto di Parlamenti a prevalenza maschile, ma anche per via della ” qualità” di questo rapporto.
Quello che ci è dato di capire, e in maniera sbrigativa, è che l’esperienza maschile si rivolge al dettato legislativo per orientarsi, mentre una donna non si affida completamente alla legge, ma si lascia orientare dal proprio senso del giusto.
Qui trova la spinta alla propria ricerca di soluzioni, di risposte, di indicazioni su come comportarsi. In questo modo mostra una modalità che per lo più viene letta come una sorta di maggiore concretezza femminile nell’affrontare le situazioni.
Come dire che la legge viene in seconda battuta.
Davanti ad un ostacolo o, in generale, a quanto succede, una donna fa leva sulla propria capacità di comprensione e si mette in gioco per trovare la soluzione, al contrario di un uomo che sembra, rivolgersi nell’immediato di quel che accade a dispositivi esterni, già pensati, come leggi, regole o quant’altro.
E’ una asimmetria di comportamento, viva, che dice di esperienze differenti nel rapporto con Leggi e Regolamenti.
Detto in altri termini: se l’uguaglianza è una pretesa che vale sul piano del diritto, nella realtà dei comportamenti le esperienze restano differenti.
Riformulando in modo da stare molto vicina a quello che mi capita di sentire ed osservare, le donne non vogliono essere considerate meno degli uomini; in fatto di dispositivi di legge non vogliono strade precluse alle opportunità, a diritti in essi previsti, per il fatto di essere donne, ma non vogliono le stesse cose che vogliono gli uomini.
C’è una originalità del desiderio femminile, del bisogno dell’umanità femminile che si esprime nella vita personale, sociale e politica.
E per quanto si incontri adattamento femminile, molto conformismo diffuso, questa originalità trapela ed è segno di una differenza non riducibile.
Questa irriducibilità è spesso letta nei diversi ambiti sociali e politici fortemente segnati dalla presenza maschile come una stonatura, “un non essere all’altezza”. In questa maniera pensieri e comportamenti femminili, rimanendo come unico termine di paragone quelli maschili nella loro pretesa universalità, sono oggetto di continua riduzione, fonte di sofferenza e motivo di indignazione per donne, ma anche per uomini mossi dalle migliori intenzioni nel condividere con donne spazi ed iniziative.
Di questa irriducibilità si fa continua esperienza nel rapporto fra uomini e donne, ma se non si porta al livello della comprensione può generare diffidenza ed essere motivo di una china rovinosa nei rapporti se non elemento scatenante di conflitti distruttivi. E all’origine di molta paura.
L’attacco alla Legge 194 è l’attacco alla libertà femminile, per tutto quello che resta di incompreso, per tutto quello che non sarà mai più come prima, per tutto quello che non permette.
Credo sia questo il punto in cui siamo.
Non voglio dire che non c’è più sofferenza femminile nel mondo, troppa ne resta, ma che dall’oppressione che hanno conosciuto molte delle nostre nonne alla libertà delle figlie, alla libertà che respiriamo, ci troviamo oggi in un gioco inedito, che ci chiede di portarci al livello delle novità che si presentano per via della guadagnata libertà femminile.
Non si tratta di una pura difesa della Legge 194.
Del resto, se penso alla mia vita, non ho fatto tutte le fatiche che ho fatto perché la Legge mi desse esistenza, ma per essere libera.
Le leggi sono costruzioni e in quanto tali sempre migliorabili, a condizione che rispettino il livello di civiltà a cui siamo arrivati in fatto di rapporti fra uomini e donne. Questo chiede che siano ricercate nella più larga condivisione possibile per sostenere l’umanità, donne e uomini, che siamo in scelte libere e consapevoli e non per prescrivere comportamenti.
La Costituzione risente in qualche modo del sentimento d’amore per l’ umanità affamata e sofferente, per il Paese distrutto, dopo anni di guerra, provato da molti di coloro che si sono adoperati in fase di formulazione e approvazione e che la rende attuale e cara, qui,a coloro che vogliono combattere per salvarne l’integrità di fondo.
La sua “riforma” viene vissuta, anche per questo motivo, come una violazione; colpisce che la riduzione dell’umanità femminile prodotta nei suoi principi fondamentali, dalla Legge 40 non si sia posta negli stessi termini.
In conclusione, dopo aver detto “adesso basta”, cosa resta da fare?
Per rispondere richiamo la considerazione di Ilaria e le altre, le giovani donne precarie di Milano intervistate da Manuela Cartosio (Il Manifesto) sul cosa fare dopo la Manifestazione: “Non ci siamo promesse niente”! Questo hanno detto.
Sono d’accordo nel senso che non si tratta di porci degli obiettivi, ma di continuare a fare le cose che stiamo facendo nel contesto in cui siamo, quelle che contano nella propria vita, nella consapevolezza che tutto quello che facciamo e che mettiamo al mondo va continuamente verificato nello scambio.
Si tratta di smetterla di indaffararsi nel fare ordine nei luoghi dove siamo, nel sociale e nella politica.
La libertà femminile è al mondo.
Vantiamo relazioni, sapere, spazi, tutto quello che serve per autorizzarci ognuna, ognuno, non a fare da sé e per sé, ma a partire da quello che ci muove in termini di desideri e bisogni per andare verso altre ed altri, per cercare, inventare, creare situazioni e dispositivi, con generosità, costruendo ponti e non muri e avendo a cuore l’umanità che siamo.
Per amore di noi stesse e per le madri che ci hanno messo al mondo. Per i padri che ci hanno amato.
E se è vero, così come io penso, quello che scrive Clara Jurdans sul numero 76 di Via dogana, Marzo 2006, a proposito di libertà femminile, che si tratta di una libertà “altruistica”, un’esperienza relazionale e non un bagaglio individuale come suggerisce il liberismo imperante, il nuovo gioco che si prefigura non sarà tutto facile e pacifico, anzi chiederà di continuare a lottare.