Fatou: io sopravvissuta ora lotto contro il “taglio”
Antonella Mariani
12 Settembre 2024
di Antonella Mariani
Un anno fortunato, per Fatou Baldeh: due premi prestigiosi ricevuti a Washington (International Women of Courage Award, 8 marzo) e a Ginevra (International Women’s Rights Award, 15 maggio). E lei, attivista contro le mutilazioni genitali femminili, sopravvissuta al “taglio” (così lo chiama, the cut) subìto a 8 anni, ad Avvenire dice che è orgogliosa di tanta visibilità, per sé stessa e il suo lavoro, ma soprattutto perché le ragazze del suo Paese, il Gambia, che non hanno opportunità e pensano di non poter far altro della propria vita che sposarsi molto giovani e aver molti figli, guardando lei potranno capire che sì, anche una donna può cambiare il mondo.
Un modello di ruolo, dice parlando su Whatsapp dal suo ufficio a Brusubi, località sulla costa atlantica a pochi chilometri da Banjul, la capitale di questo piccolo Paese dell’Africa occidentale, 2,5 milioni di abitanti, tutto stretto dentro il territorio del Senegal. Fatou Baldeh, appena superati i 40 anni, sorriso aperto, inglese sciolto e velocissimo, una gran massa di capelli scuri che le incorniciano il volto affilato, è la fondatrice e la presidente di Will, Women in Liberation & Leadership. «Siamo in 8, tutte “tagliate” (infibulate, ndr): giriamo per villaggi e comunità rurali a parlare con gli abitanti per spiegare che le mutilazioni non sono un bene per le donne, che provocano malattie fisiche e mentali e che tradizione e abitudini si possono cambiare».
Un lavoro difficile, in un Paese che detiene il record mondiale del 75% di ragazze e donne sottoposte a mutilazioni genitali (Fgm) nonostante dal 2015 esista una legge che le vieta. «Io stessa, quando da ragazza sono andata in Scozia per procurarmi un’istruzione, pensavo che la mia situazione fosse normale. Ho dovuto leggere e studiare molto per capire che è una tortura, deleteria per la salute fisica e psichica. Sono tornata in Gambia con l’obiettivo di aiutare il mio Paese a svilupparsi, a crescere. Nessuno può farlo per noi, dobbiamo impegnarci noi gambiani. Ma il “taglio” ha radici profonde nella nostra società, nelle credenze e nelle superstizioni, è parte della nostra identità, considerato un rito di passaggio all’età adulta e spesso sono le nonne che lo impongono alle nipoti. Talvolta mi trattano come se fossi una traditrice dei valori tradizionali, mi accusano di essermi fatta corrompere dall’ideologia occidentale. Serve tempo e soprattutto educazione».
Quando è accaduto a lei, non sapeva cosa stesse succedendo, c’erano altre 10 bambine, furono stese a terra e una donna iniziò a inciderle gli organi genitali, senza farmaci, senza antidolorifici, solo con un coltellino affilato. «Può immaginare quanto è stato traumatico», dice. Fu trattata per diversi giorni con acqua e sale e impacchi di erbe, lei non smetteva di piangere dal dolore. Quando la ferita si rimarginò, ci fu una grande cerimonia, una festa. Era diventata grande. Le mutilazioni genitali femminili sono talmente radicate in Gambia che lo scorso luglio per un soffio non è stato abrogato il divieto del 2015, rendendo nuovamente legale ciò che ancora viene praticato ma perlomeno fuorilegge.
«È stata la prima volta che ho visto le donne del mio Paese lottare per se stesse», racconta. «Per fortuna la legge non è passata e il bando alle Fgm è rimasto. Ero contenta, ma anche arrabbiata: un Parlamento di soli uomini (58 i seggi, solo 5 le donne, ndr) ha messo a repentaglio la salute e la vita delle ragazze del Gambia».
La donna a cui Fatou si ispira – racconta – è la madre, che prima si opponeva al suo lavoro e oggi è la sua prima supporter, tanto da aver salvato una nipote, la prima della famiglia a non essere stata “tagliata”. Ma non sono solo le Fgm a rendere inquieta e nello stesso tempo combattiva Fatou: la violenza di genere è così endemica in Gambia che «le donne pensano di meritarsi le botte dai mariti se escono senza il loro permesso. E purtroppo nel Paese non esistono case di accoglienza, strutture che possano salvarle. Vengono da noi, facciamo il possibile, ma non riusciamo a dare sufficiente protezione. Questo mi rende tristissima». Fatou è sposata e ha due figli maschi. E questa è la sfida della sua vita: «Crescere ragazzi che rispettino le donne e le diversità. Da qui inizia il vero cambiamento».
(Avvenire, 12 settembre 2024)