di Stefano Mauro
Per l’omicidio di Thomas Sankara, conosciuto come “il Che Guevara africano”, ucciso insieme ad altri 12 persone durante il colpo di stato del 15 ottobre 1987, le tre sentenze di ergastolo pronunciate ieri dalla corte di Ouagadougou sono andate oltre quanto richiesto dalla procura militare, ovvero 30 anni di carcere per l’ex presidente Blaise Compaoré e il comandante della sua guardia, Hyacinthe Kafando e altri 20 anni per Diendéré, con altri otto imputati condannati a pene che vanno da 3 a 20 anni di reclusione con l’accusa di «attacco alla sicurezza dello Stato». Il verdetto ha suscitato forti reazioni in sala. È stato accolto con grande sollievo dalle parti civili e dai parenti delle vittime. «È una pagina della storia del Burkina che è appena stata voltata», ha confidato un ex ministro Sankara. Sankara voleva «decolonizzare le mentalità» nel suo paese e in Africa, dove è diventato e resta un’icona a trent’anni di distanza – lo stesso attuale presidente Damiba si è più volte ispirato nel discorso di insediamento ai suoi ideali – cosa che gli attirò le antipatie di diversi capi di stato, sia in Africa che in Occidente. Invitò l’Africa a «non pagare il suo debito con i paesi occidentali», denunciò all’Onu le guerre «imperialiste», l’apartheid, la povertà, difese il diritto dei popoli oppressi all’autodeterminazione come in Palestina o nel Sahara Occidentale. Le decisioni che prese furono rivoluzionarie come il suo impegno sulle riforme sociali con numerosi progetti che avevano l’obiettivo di eliminare la povertà e la fame del suo popolo e che riguardavano la costruzione di scuole, ospedali o riforme per la parità di genere e la centralità della donna nella società burkinabé. Posizioni politiche forti che, insieme al tentativo di creare relazioni economiche tra alcuni paesi del Sahel per raggiungere «l’autosufficienza» e la «libertà da accordi commerciali con le potenze coloniali occidentali», gli attirò le antipatie di numerosi paesi: Stati Uniti e Francia in particolare. Dopo la pronuncia del verdetto, le parti civili si sono recate al memoriale di Thomas Sankara nella capitale. Durante tutto il viaggio, una folla di persone ha seguito il corteo. «La sua rivoluzione resta nelle menti e nei cuori del nostro popolo e in quello di tutti gli africani», aveva detto all’inizio del processo la moglie Mariam Sankara. «Con la sentenza di oggi il Burkina Faso, la Terra degli uomini onesti (nella locale lingua Djoula, ndr), dimostra di aver ascoltato la volontà del popolo», ha dichiarato all’agenzia Afp dopo il verdetto.
(il manifesto, 7 aprile 2022)
Il 15 ottobre 1987 – 25 anni fa veniva assassinato Thomas Sankara, rivoluzionario comunista e presidente del Burkina Faso.
Marinella Correggia
Ecologia, femminismo, fame e povertà zero, cultura, altermondialismo, il credito e non il debito dell’Africa. A 25 anni dall’assassinio di Thomas Sankara, la rivoluzione del giovane presidente del Burkina Faso è ancora più che attuale
«Lo supplicavo di proteggersi la vita, gli dicevo che un eroe morto non serve a niente. Adesso però penso che un eroe morto serva da riferimento». Così il giornalista malgascio Sennen Andriamirado, nella biografia postuma Il s’appelait Sankara sottolineava il lascito di quel Che Guevara africano diventato nel 1983 presidente rivoluzionario del poverissimo Alto Volta, rinominato Burkina Faso ovvero «paese degli integri». Una vicenda luminosa e breve come un lampo. Sankara fu ucciso a soli 38 anni in un colpo di stato cruento. Interessi interni di risicati ceti privilegiati saldati a quelli di poteri regionali e internazionali ebbero la meglio su un’esperienza scomoda e potenzialmente contagiosa, ma al tempo stesso ancora solitaria, perciò debole. Era il 15 ottobre 1987: venti anni e una settimana dopo l’assassinio del Che.
Come una parola d’ordine
Quattro anni sono troppo pochi perché una rivoluzione sopravviva alla scomparsa violenta della sua guida, soprattutto se di tutta la testa superiore agli altri politici. E tuttavia Sankara, eroe senza corona e senza privilegi, rimane un mot de passe , una specie di parola d’ordine. Un richiamo a ideale e pratiche locali e internazionali adatti al futuro. «Se ci fosse ancora Sankara», si intitolò un convegno a Torino, nel 2007. Non c’è angolo che la rivoluzione burkinabè al tempo di Sankara non abbia esplorato: «Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo». Una sfida enorme, in quel «concentrato di tutte le disgrazie del mondo» (aspettativa di vita di 40 anni, 98% di analfabetismo, poca acqua, tanta fatica) nel quale però «donne, bambini e uomini hanno deciso di prendere in mano il proprio destino« (dal discorso all’Assemblea dell’Onu nel 1984, v. Thomas Sankara, i discorsi e le idee , edizioni Sankara). Ma ecco un popolo, fatto al 90% di contadini e donne oppresse, tentare la fuoriuscita dalla miseria, sulla via di uno sviluppo autonomo, partecipato, egualitario, ecologico per necessità. Il paradigma sociale e culturale della rivoluzione sankarista era proiettato nel futuro. Cos’è infatti il buen vivir (o vivir bien ) ora rivendicato da diversi paesi latinoamericani se non la ricerca di un semplice benessere per tutti, nel rispetto della natura e dei beni comuni, da raggiungere con strumenti quali democrazia diretta, economia popolare, risorse endogene? «La nostra rivoluzione avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i burkinabè sono un po’ più felici grazie ad essa», disse il presidente a Bobo Dioulasso il 2 ottobre 1987.
Sovranità alimentare nel Sahel
L’obiettivo era immenso e immane in quel contesto. La prova del nove fu superata: risultati materiali inauditi in poco tempo e quasi senza mezzi. Tutto all’insegna del motto di Sankara: «Contare sulle proprie forze». Coltivare e irrigare con poche risorse per garantire due pasti e dieci litri d’acqua al giorno a ognuno. La sovranità alimentare: «Produrre e consumare burkinabè». «Operazioni commando di alfabetizzazione» degli adulti. I progetti «un villaggio un bosco, un villaggio un ambulatorio, un villaggio una scuola». Le «tre lotte contro il deserto» per un commovente Burkina verde. Il faso dan fani , abito di cotone locale lavorato artigianalmente. La «battaglia per la ferrovia». L’informazione partecipata con la «radio entrate e parlate». I lavori comunitari anche per i funzionari (un tentativo di redistribuzione della fatica). La cultura, inventare il Festival del cinema africano, le proiezioni nei villaggi, lo sport di massa per la salute… E i soggetti. La mobilitazione tentata a tutti i livelli nei comitati rivoluzionari. Al centro di tutto, i contadini e le donne, anche contro i capi villaggio e gli sfruttatori della tradizione. Presidente femminista, un otto marzo dichiarò: «Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna avremo perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva. (…) Una società come la nostra deve lottare contro l’escissione e ridurre anche i lunghi tragitti che la donna percorre per andare a cercare l’acqua, la legna . Non possiamo parlare di liberazione della donna senza parlare del mulino per macinare il grano, dell’orto, del potere economico» (da Thomas Sankara. I discorsi e le idee , edizioni Sankara).
Un presidente senza privilegi
Per investire tutto nei bisogni di base Sankara impose una spending review all’osso: «Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero». Senza accettare imposizioni dal Fondo Monetario internazionale (che «va oltre il controllo di bilancio e persegue un controllo politico»), l’austerità fu autogestita: stipendi modestissimi a presidente e ministri, niente sprechi di rappresentanza, vendute le auto blu, aboliti gli eventi di lusso, rimpicciolita ogni spesa amministrativa. Ma non riuscì a Thomas Sankara la lotta contro la corruzione, e contro gli abusi di potere nei Comitati rivoluzionari. L’impegno antimperialista fra i non allineati e a fianco delle esperienze rivoluzionarie. La lotta contro il debito estero e per il disarmo. Nel suo discorso di fronte ai capi di stato africani, alla Conferenza dell’allora Organizzazione per l’Unità Africana (Oua) ad Addis Abeba, 29 luglio 1987, Sankara ripeteva l’invito fatto al Movimento dei paesi non allineati tre anni prima a New Delhi: «Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili. (…) Abbiamo il dovere di creare il Fronte unito contro il debito». Ma al tempo stesso tutta l’Africa doveva farla finita con la corruzione, i privilegi e le spese per le armi. Le risorse liberate erano necessarie alla fuoriuscita dalla miseria e all’integrazione regionale (sul modello dell’attuale Alleanza bolivariana Alba in America Latina): «Facciamo sì che il mercato africano sia davvero il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa e consumare in Africa (…) È per noi il solo modo di vivere liberamente e degnamente».
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CRONOLOGIA DELL’UOMO INTEGRO
Thomas Sankara nasce il 21 dicembre 1949 a Yako nell’Alto Volta, allora colonia francese che diventerà indipendente il 5 agosto 1960. Non avendo i mezzi per studiare medicina come vorrebbe, intraprende la carriera militare. Inizia a formarsi alla politica anche nel corso di soggiorni in Marocco e Madagascar. Fra il 1981 e il 1983 viene chiamato a far parte di governi dei quali presto denuncia malefatte e corruzione, fino a essere imprigionato. Con un’alleanza fra militari e forze popolari arriva al potere il 4 agosto 1983. Il 4 agosto 1984 l’Alto Volta diventa Burkina Faso. Intanto governo e comitati popolari lavorano alla «rivoluzione degli integri» a ritmi accelerati. Nel 1987 iniziano a serpeggiare i dissidi e i malcontenti fra i capi storici della rivoluzione. Il 15 ottobre 1987 Sankara con dodici collaboratori viene assassinato in un colpo di stato ordito dal suo vice Blaisé Compaoré, il quale assume la presidenza e reprime le proteste con diversi morti. La rivoluzione è finita. Elezioni successive alle quali partecipa una minoranza della popolazione hanno continuato a rieleggere Compaoré il quale anche grazie alle divisioni e debolezze dei “sankaristi” è tuttora capo di stato, ben introdotto in Occidente e oscuramente coinvolto in diversi conflitti africani. Mai chiarite le circostanze e le responsabilità di quel 15 ottobre. La petizione «Giustizia per Sankara» (www.thomassankara.net) ha raccolto 10mila firme.
L’introduzione del cotone transgenico provoca l’ira dei contadini africani
La crisi alimentare del 2008 ha rilanciato il dibattito sulle biotecnologie, che dovrebbero accrescere la produttività dell’agricoltura africana. Ma, come i loro omologhi altermondialisti occidentali, i contadini del continente nero temono le conseguenze sanitarie e sociali degli organismi geneticamente modificati. Il produttore americano di sementi Monsanto ha perciò deciso d’investire mezzi ingenti per imporli, con l’aiuto del presidente burkinabé Blaise Compaoré. La resistenza si organizza.
Françoise Gérard *
Il Burkina Faso, piccolo stato tra i più poveri del mondo, si è discretamente lanciato nella coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm), in particolare del cotone Bt (1). La collaborazione di Ouagadougou con il produttore di sementi americano Monsanto, nota al grande pubblico dal 2003, suscita un dibattito sempre più aspro tra i contadini e le associazioni locali in quanto esso rappresenta un test per lo sviluppo degli Ogm in tutta l’Africa occidentale. Com’è potuto succedere che il Burkina Faso abbia finito per lavorare con un’azienda famosa per il suo erbicida Roundup e il suo «agente arancio» (2)? La sacrosanta «lotta contro la povertà» alla quale gli Ogm contribuirebbero rilanciando l’agricoltura burkinabé è un ottimo pretesto, e le motivazioni reali delle parti cominciano solo adesso a essere chiare sotto la pressione delle associazioni…
Con la massima segretezza, nel 2001 sono iniziati i primi test sul cotone Bt in Burkina Faso, in violazione della convenzione sulla biodiversità del 1992 e del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza del 2000. Tali trattati internazionali stabiliscono che i paesi interessati debbano munirsi di un quadro legislativo e prendere tutte le precauzioni possibili prima di cominciare la coltivazione di Ogm. Inoltre, i firmatari s’impegnano ad informare la popolazione dei pericoli e a non prendere alcuna decisione senza un’ampia consultazione pubblica.
Tuttavia, solo nel 2003, durante un seminario sulla biosicurezza a Ouagadougou, la Lega dei consumatori apprende l’esistenza di questi test e rivela ciò che l’Istituto dell’ambiente e della ricerca agricola (Inera) aveva nascosto. Monsanto sostenne che i test venivano effettuati in «zone confinate». In realtà, si trattava di appezzamenti di terreno recintati da reti strappate.
Dunque è a cose fatte che il Burkina Faso si mette in regola facendo ratificare dal Parlamento, nell’aprile 2006, il regime di sicurezza in tema di biotecnologia. I settantacinque articoli di questa legge avrebbero potuto rassicurare gli oppositori degli Ogm, se non vi fosse stabilito che il suo obiettivo è «garantire la sicurezza umana, animale e vegetale, e la protezione della diversità biologica e dell’ambiente» (art.22), incaricando della valutazione dei rischi l’Agenzia nazionale per la biosicurezza (Anb). Ebbene, secondo i loro oppositori, le colture Ogm vengono contestate proprio perché i rischi sono incontrollabili (3)…
Se Monsanto ha scelto il Burkina Faso, è innanzitutto perché è il maggior produttore di cotone dell’Africa occidentale, davanti a Mali, Benin e Costa d’Avorio. Inoltre, la sua situazione geografica ne fa il cavallo di Troia delle biotecnologie nella regione. Le frontiere sono permeabili: è noto che gli stabilimenti di sgranatura favoriscono gli scambi involontari. La contaminazione «accidentale» delle piante da parte degli Ogm conviene alle imprese «conquistatrici», poiché una pianta contaminata non può tornare allo stato precedente e non si può distinguere ad occhio nudo una pianta geneticamente modificata da un’altra.
Inoltre, i controlli tecnici sono molto costosi, e non sono alla portata delle comunità rurali. Gradualmente, gli Ogm si stanno dunque diffondendo all’insaputa degli abitanti. Mentre il Benin ha rinnovato per cinque anni la moratoria sugli Ogm, il Mali ha appena ceduto alle pressioni ed ha autorizzato i test sul cotone Bt.
Il Burkina Faso era l’anello debole dell’area: il suo presidente Blaise Compaoré cercava di riconciliarsi con la «comunità internazionale» dopo aver sostenuto attivamente l’ex-presidente della Liberia, Charles Taylor (4), durante la sanguinosa guerra civile negli anni ’90. Su di lui, pesavano i sospetti di avere alimentato il traffico d’armi e di diamanti nella regione. In pochi anni, il suo paese è diventato un allievo-modello delle istituzioni finanziarie internazionali e dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). La collaborazione con Monsanto ha anche rappresentato un gesto politico verso gli Stati uniti, molto irritati dall’atteggiamento di Compaoré.
A partire dal 2003, il ministro dell’agricoltura Salif Diallo fece del cotone Ogm il suo cavallo di battaglia. L’Unione nazionale dei produttori di cotone del Burkina (Unpcb), diretta da François Traoré, dopo aver manifestato le sue preoccupazioni, modificò le sue posizioni in cambio del 30% delle azioni della Società di fibre tessili (Sofitex), la principale società del cotone burkinabé privatizzata su richiesta della Banca Mondiale. Alcuni contadini dissidenti crearono, nel 2003, il Sindacato nazionale dei lavoratori dell’agricoltura e dell’allevamento (Syntap), ferocemente contrario agli Ogm. E cìè la dichiarazione di un leader contadino, Ousmane Tiendrébéogo: «Da noi c’è solo l’agricoltura; non hanno il diritto di giocare alla roulette russa con il nostro futuro».
Di fronte all’Unpcb ci sono tre società produttrici di cotone: la Sofitex, nella regione occidentale, la Società cotoniera di Gourma (Socoma, ex-Dagris), nella regione orientale, e Faso Cotone, nella regione centrale. Esse fissano con l’Unpcb il prezzo annuale: 165 franchi Cfa (0,25 euro) al chilo per cotone di «prima scelta» nel 2008. Esse forniscono – a credito – i semi, gli insetticidi e gli erbicidi necessari e poi, quando il cotone è maturo, vengono a raccoglierlo nei campi per portarlo allo stabilimento di sgranatura.
Questo «incarico» ereditato dal sistema coloniale è a doppio taglio, perché non lascia affatto autonomia al produttore. Proprietario della sua parcella, egli può teoricamente abbandonare il cotone se ritiene il raccolto insignificante, e adottare un’altra coltura più redditizia, come il sesamo (5). Ma in realtà, il suo indebitamento, il suo basso livello d’istruzione e i prodotti forniti dalle società cotoniere lo rendono molto dipendente del sistema. Yezuma Do, produttore, racconta: «Sono venuti con le autorità e le guardie per dirci che l’anno prossimo noi faremo tutti del Bt, perché è meglio per noi. Ma non ci dicono il prezzo dei semi. E se noi rifiutiamo, l’Unpcb ci avverte che non potremo sgranare il nostro cotone convenzionale nella regione». Stanco di lottare, Do prevede, con molti suoi vicini, di rinunciare alla coltivazione del cotone.
L’Uncpb e le società cotoniere si sono costituite in Associazione interprofessionale del cotone in Burkina (Aicb). In accordo con i ricercatori dell’Inera e della Monsanto, l’Aicb dirige la formazione dei tecnici e dei produttori. È lei che fisserà il prezzo delle sementi Bt per il 2009, e il cerchio si chiude. Nel 2008, dodicimila ettari di cotone Bt, tipo Bollgard II, sono stati coltivati per procurare semi per trecentomila o quattrocentomila ettari, dopo che l’Anb ha autorizzato la produzione commerciale del cotone Bt per il 2009.
Che succederà realmente? Mentre il seme del cotone convenzionale prelevato sul raccolto costa solo 900 franchi Cfa (1,37 euro) l’ettaro, i diritti di proprietà intellettuale (Dpi) dovuti alla Monsanto rischiano invece di superare i 30.000 franchi Cfa (45 euro) all’ettaro (6).
Ci si accontenta di rassicurare i contadini promettendogli che il prezzo non supererà i loro mezzi.
Si è costituito un fronte anti-Ogm, che unisce diverse associazioni: è la Coalizione per la conservazione del patrimonio genetico africano (Copagen). Ne fanno parte anche gruppi appartenenti ai paesi vicini (Benin, Mali, Costa d’Avorio, Niger, Togo e Senegal). Benché le sue capacità finanziarie siano ridotte, la Copagen ha organizzato nel febbraio 2007 una carovana attraverso la regione per sensibilizzare e informare le popolazioni sul pericolo. La manifestazione si è conclusa con una marcia di protesta nelle strade di Ouagadougou. Sui cartelli dei manifestanti si leggeva: «No al diktat delle multinazionali»; «Coltivare bio significa proteggere davvero l’ambiente»; «Gli accordi di partenariato economico (7) e gli Ogm non sono soluzioni per l’Africa, essi sono contro di noi: fermati-pensa-resisti».
Un partecipante riassumeva così il problema: «Se questi sono gli Ogm, non li vogliamo! I politici lavorano davvero per il nostro bene?
Bisogna diffondere subito e ovunque l’informazione e la sensibilizzazione sugli Ogm; non passeranno mai in Africa…» E anche preoccuparsi degli effetti della «propaganda» dei sostenitori del cotone transgenico.
La verità è che il fronte pro-Ogm non lesina spese grazie al sostegno del governo: conferenze stampa, viaggi-studio interamente pagati, eventi pubblici, film d’«informazione»… I depliant in carta patinata della Monsanto descrivono un mondo idilliaco con l’aiuto delle statistiche dell’Inera. Sostengono che i semi Ogm Bollgard II genereranno un aumento medio del rendimento del 45%, una riduzione dei pesticidi da sei a due passaggi, una riduzione dei costi del 62%, da cui deriverà un risparmio di 12.525 franchi Cfa per ettaro (cioè 20 euro) e, di conseguenza, un beneficio per la salute dei coltivatori e per l’ambiente.
Niente pare tanto aleatorio quanto il «rendimento medio», in un paese soggetto a una pluviometria capricciosa. Se non piove, capita che i contadini siano obbligati a fare due o tre semine successive. Finché il prezzo dei semi è trascurabile, si tratta «solo» di un sovraccarico di lavoro. Ma, se si devono acquistare i diritti di proprietà intellettuale, quanto costerà un ettaro di cotone? Inoltre, pare che il gene miracoloso rimanga vulnerabile alla siccità e che degeneri man mano che la pianta cresce. Ultimo inconveniente: durante un seminario organizzato dall’Unione europea a cui partecipava Traoré, è stato imposto ai produttori di cotone di tenere uno stock di sicurezza di pesticidi «nel caso in cui». Ciò significa che il ricorso ai prodotti chimici non necessariamente diminuisce.
Infatti, si possono verificare due fenomeni: la comparsa di insetti resistenti al gene (in quattro o cinque anni) e di infestanti secondari immuni dal gene. Gli Stati uniti e l’India hanno dovuti affrontare questo problema. Curiosamente, mentre il Comitato consultivo internazionale del cotone (Ccic) (8), riunito a Ouagadougou dal 17 al 21 novembre 2008, ha vantato i clamorosi successi del cotone Bt indiano (sei anni consecutivi di aumenti nel rendimento), non è stato fatto alcun cenno all’ondata di suicidi tra i piccoli produttori rovinati da una produzione ben inferiore a quella che era stata fatta intravedere loro.
Quanto alla riduzione dei costi, è difficile indicare una cifra, poiché Monsanto mantiene gelosamente il segreto sul prezzo dei Dpi, che si aggiungerà a quello dei fertilizzanti e degli erbicidi. Supponendo che i rendimenti siano migliorati (9), la differenza non permetterà altro che di annullare il sovrapprezzo dei Dpi.
L’argomento a cui i coltivatori sono più sensibili resta la diminuzione dei pesticidi sbandierata da Monsanto. In effetti, durante i giorni di spargimento dei pesticidi, capita che gli agricoltori dormano nei loro campi con tutta la famiglia, esponendosi così alla notevole tossicità di tali prodotti. Tuttavia, si può utilizzare un insetticida naturale estratto dal neem, un albero che cresce nell’Africa occidentale.
Basta un inquadramento tecnico, come dimostrano le esperienze fatte in Mali sul 10% delle superfici coltivate a cotone dalla Compagnia maliana per lo sviluppo dei tessili (Cmdt). Nel 2001, l’Organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha, da parte sua, lanciato un progetto di gestione integrata della produzione e degli infestanti (Gipd) con l’obiettivo di ridurre, fino ad eliminarlo, l’uso dei pesticidi. Tuttavia, nulla è stato fatto affinché questo programma del Gipd superi lo stadio di test-pilota. In più, «l’Unpcb si comporta con i contadini come una milizia, rafforzando la politica della Sofitex che ci impone fertilizzanti ed insetticidi, senza darci la possibilità di rifiutarli», protesta Do.
Fra le soluzioni di ricambio agli Ogm, esiste il cotone biologico ed equo che l’associazione Helvetas ha lanciato in Mali nel 2002 e in Burkina Faso nel 2004: nessun prodotto chimico, concimazione organica (gratuita), raccolto di prima qualità… Il suolo si rigenera invece di degradarsi. Il chilo di cotone è pagato 328 franchi Cfa (0,50 euro) al produttore, contro i 165 franchi Cfa (0,25 euro) per il cotone convenzionale. La filiera già riunisce cinquemila piccoli produttori su circa settemila ettari nelle tre regioni, (Ovest, Centro ed Est) del Burkina. Ma parecchi ostacoli sembrano frenare la sua espansione: oltre agli interventi rumorosi e scorretti di Monsanto, alleata delle istituzioni finanziarie internazionali, il trasporto del concime organico ha bisogno di un asino e di un carretto. Sono pochi i contadini che dispongono di tali mezzi.
Secondo Abdoulaye Ouédraogo, responsabile della filiera del cotone all’Helvetas Burkina, «qui non c’è futuro per gli Ogm. Innanzitutto per ragioni climatiche. Inoltre, perché i piccoli produttori non applicheranno mai le regole. Essi si preoccupano prima di riempire i granai per nutrire la famiglia: il cotone viene dopo. Non è come negli Stati uniti, dove si pratica la monocultura a perdita d’occhio…».
L’accanimento pro-Ogm si spiega quindi non solo con la volontà delle multinazionali, ma anche con l’arricchimento che ne trae una classe privilegiata ai danni dell’interesse del paese.
note:
* Giornalista, Ouagadougou.
(1) Il cotone Bt è una varietà locale a cui si è aggiunto un gene estratto da un batterio del suolo, Bacillus thuringiensis, mortale per alcuni agenti infestanti del cotone.
(2) Soprannome dato all’erbicida – estremamente tossico per l’essere umano – più usato dall’esercito degli Stati uniti in Vietnam per distruggere i raccolti e defogliare le foreste. Si legga Francis Gendreau, «Vietnam, l’agente arancio uccide ancora», Le monde diplomatique/il manifesto, gennaio 2006.
(3) Si legga Aurélien Bernier, «L’avanzata degli Ogm oltre l’ingannevole controllo», Le monde diplomatique/il manifesto, novembre 2006.
(4) Taylor è attualmente giudicato dal Tribunale speciale per la Sierra Leone, per aver sostenuto in questo paese, il Fronte rivoluzionario unito (Ruf), il movimento ribelle responsabile dei crimini contro l’umanità.
(5) Un’associazione italiana aveva lanciato un programma per l’esportazione molto vantaggiosa per i produttori. Temendo la concorrenza per il cotone, le autorità l’hanno fatta fallire.
(6) Si veda il sito dell’associazione Grain, che dispone di una documentazione molto completa: www.grain.org
(7) Gli accordi di partenariato economico (Ape) sono accordi commerciali con i quali l’Unione europea tenta di sviluppare il libero scambio con i paesi del Sud. Tenuto conto dell’opposizione manifestata dalla popolazione e da numerose associazioni, le negoziazioni, iniziate nel 2000, non hanno potuto concludersi con tutti i paesi. Cfr. La pagina «Stop Ape» sul sito dell’Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini (Attac): www.france.attac.org/spip.
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(8) Il Ccic riunisce tutti gli anni i più grandi produttori del mondo e i loro partner. Le sue previsioni per il 2009 sono pessimiste.
(9) Diallo, il ministro dell’agricoltura, prometteva dei rendimenti di tre tonnellate, tre tonnellate e mezzo per ettaro… I migliori test con gli Ogm hanno dato una media di solo 1,3 tonnellate per ettaro. (Traduzione di A. D’A.)
Rossella Cursio
Forse con il tempo dimenticherò il suo volto ma non dimenticherò mai il suo spirito.
Maman era un concentrato di fierezza e dignità, contrariamente alle altre, che mi
aleggiavano sempre intorno, lei si teneva a distanza sorvegliandomi con lo sguardo, attentissima ad ogni mio gesto ed ad ogni mia parola, non chiedeva mai nulla e non accettava nulla. Si limitava a rimanere in piedi, appoggiata alla mia porta, guardando distrattamente fuori quando le risate delle altre diventavano travolgenti.
Non smisi mai di coinvolgerla sorridendole con lo sguardo ma rimase sempre
indifferente fino al giorno in cui i suoi occhi cominciarono a parlarmi. Già felice del
risultato, ormai quasi insperato, non feci niente per forzarla, ogni tanto le rivolgevo piccole frasi che rimanevano puntualmente senza risposta.
Maman come il resto della famiglia aveva una posizione privilegiata, infatti non viveva in una capanna o in una baracca o in un monoblocco, ma in una palazzina a due piani che racchiudeva all’interno un piccolo giardino.
Al piano terra, affacciate sul giardino, vi erano le stanze della nonna paterna e della nonna materna e un vasto salone destinato sia al ricevimento degli ospiti importanti sia ai rimproveri solenni del capo famiglia ai giovani maschi. Questo rito avveniva sempre a porte chiuse e lontano dagli sguardi delle donne.
Al primo piano si trovava un altro salone destinato ai pasti del capo famiglia, al
ricevimento di familiari e alla televisione. Seguivano una stanza per gli ospiti, la camera dei genitori, con bagno e doccia personale, e tantissime camere. Queste ultime si affacciavano sul cortile interno ed erano occupate da figli e figlie di primi e secondi matrimoni, da cognate e da cugini.
Al secondo piano si trovava un grande terrazzo da cui si dominavano le corti interne delle varie casupole e baracche che sorgevano nel quartiere e dove io, la sera, con il naso all’insù e un po’ di nostalgia, guardavo il passaggio degli aerei che volavano verso l’Europa.
Questo terrazzo era un interessante punto di osservazione: un po’ da per tutto panni coloratissimi sventolavano appesi ad asciugare, nelle corti si vedevano le donne che, sedute, setacciavano il riso in panieri ricavati dal guscio di grandi zucche, nelle stradine i bambini giocavano rincorrendo cerchi di ferro; si poteva udire il suono sordo e ritmato prodotto dalle donne che con energia battevano il miglio in grandi mortai di legno, il loro vociare, gli scoppi di risate, le urla di gioco e i pianti dei bambini.
Per tutto il giorno e spesso anche di notte, ritmi e canzoni s’innalzavano vivaci.
S’intrecciavano fra di loro e, fondendosi con i belati dei montoni ed i ragli degli asini, davano vita ad un unico tema di fondo che accompagnava il dispiegarsi delle giornate.
Un po’ da per tutto era possibile vedere qualcuno che, rapito dal ritmo zairese, danzava con gioia. Agli incroci dei vicoli, al suono coinvolgente del jembe1, gruppi di bimbi saltellavano ritmici battendo le mani.
Gli odori delle varie cucine e di spezie penetranti, aleggiando si spandevano e si
mescolavano a quelli del legno bruciato, del mais abbrustolito, del pesce arrostito A sera veniva dato fuoco ai rifiuti e l’odore acre e penetrante s’insinuava da per tutto.
Spingendo lo sguardo più lontano si poteva scorgere la fitta trama di strade e stradine e l’unica via asfaltata che si srotolava come un serpentone grigio fra le piste di sabbia, i colorati mezzi di trasporto in comune che correvano avanti e indietro, donne che procedevano, ancheggiando lente e regali, con i cesti sulla testa, vendendo manghi e verdure.
Agli incroci, giovani venditori di cocco, facendo roteare con destrezza la loro
maschette2, decapitavano i frutti per venderli ai passanti. Gruppetti di uomini, seduti all’ombra di un muro o di un albero, gesticolavano seri intenti a discutere.
Su tutto dominava la Moschea che svettava alta e scandiva le giornate diffondendo dall’alba al tramonto il richiamo alla preghiera.
A volte mi fermavo su questa terrazza, rimanevo lì a raccogliere ed a farmi pervadere da tutte queste sensazioni che scavavano nei miei ricordi e facevano riemergere dal fondo della memoria frammenti nascosti.
Mi riportavano agli odori ai suoni ed alle immagini della mia infanzia… di quando mio padre mi portava a vedere la vita nei paesi e nelle campagne del Sud……. l’odore del legno d’olivo bruciato, la fragranza del pane cotto nel forno a legna, il profumo dei ‘torcinelli’3 alla brace, il vociare delle donne che sedute all’ombra dei trulli sgusciavano le mandorle…la musica ad alto volume che usciva dalle case….. il rincorrersi dei bambini in gioco fra i vicoli…. i greggi nei campi…. bianchissime lenzuola stese a finestre e balconi…. le strida di stormi di rondini che sfrecciavano fulminee nelle piazze… fra i tetti e i campanili…… e un misto di malinconia e dolcezza infantile mi riempiva il cuore e, abbracciandomi, mi faceva compagnia.
Nel giardino della casa di Maman vi era un unico albero con tantissima voglia di vivere. Addossato al muro protendeva i pochi rami verso la luce che proveniva dall’alto e, ostinato, resisteva alle bocche di cinque enormi bianchissimi montoni.
Questi animali, segno di distinzione della famiglia, ed ignari protagonisti di future feste rituali, erano i compagni di gioco dei maschi più giovani, venivano portati a passeggio legati con una cordicella ed erano scrupolosamente lavati in un trionfo di schiuma e risate ogni domenica mattina. I loro belati riecheggiavano ad ogni ora del giorno e diventavano struggenti quando le femmine venivano legate al povero albero per renderle più disponibili alle attenzioni amorose del montone.
Ogni sera, ad una certa ora, il portone veniva chiuso a chiave e con gran rumore dal capo famiglia. Questo gesto, che nascondeva qualcosa di rituale, poneva la famiglia di Maman ad un rango superiore nella mentalità della gente del quartiere.
Maman era forse quella che dava più da fare alla famiglia, spesso le scale
riecheggiavano dei suoi no o del suo nome pronunciato ad alta voce dal capo famiglia, qualche volta, purtroppo, riecheggiavano anche dei suoi pianti e dei suoi singhiozzi.
In quel caso, seguendo il filo disperato del suo pianto, la trovavo raggomitolata
nell’angolo di un gradino, con il viso nascosto fra le ginocchia dove cercava di soffocare il pianto, scossa dai singhiozzi, ribelle ed insensibile a qualsiasi tentativo di consolazione.
Maman odiava le treccine di cui adorano adornarsi le donne africane, piccole e grandi, preferiva portare i capelli cortissimi e fuggiva davanti ai tentativi di sua madre di farle un qualsiasi tipo di acconciatura. Ogni tanto rubava il rasoio a qualcuno dei fratelli più grandi e si liberava da quello che lei considerava un ‘derangement’.4 Maman amava molto giocare e si divertiva soprattutto a partecipare ai giochi dei fratelli maschi da cui però veniva regolarmente scacciata appena li vinceva.
Maman era molto generosa, non esitava mai a prendere la difesa dei più piccoli e, se capitava, anche dei più grandi con il risultato di essere poi rimproverata da entrambi i contendenti poiché non rispettava le gerarchie.
Un giorno, finalmente, non si fermo più sulla porta ma fece qualche passo all’interno della stanza prendendo posto accanto alla finestra e spaziando con lo sguardo attento fra i vicoli del quartiere. Dopo qualche giorno smise di guardare fuori e dopo qualche giorno ancora mi si sedette accanto.
Era il periodo del grande caldo, aspettavamo tutti la stagione delle piogge. Speranzosi, spiando l’orizzonte al tramonto, aspettavamo di scorgere in lontananza l’addensarsi delle prime grosse e basse nuvole cariche d’acqua.
Le mie braccia, dopo mattinate intere passate al porto per sorvegliare lo sdoganamento dei container, o meglio per cercare di sottrarli il più rapidamente possibile alle attenzioni della dogana locale, si erano cosi colorite da non poter più distinguere i nei.
Un giorno Miam, sorella di Maman, stava studiando attentamente le mie braccia e, con il dito, tracciava come delle strisce sulla pelle. Guardandomi con espressione contenta e sorridente mi disse: “Se prendi ancora del sole, fra qualche giorno diventi come noi!!”
Fu allora che Maman parlò: “Stupida! non potrà essere mai come noi! Lei non è di pura razza Africana!” Colpita da tanta fierezza sorrisi e poi, visto che le due avevano cominciato a battibeccare, presi le mani di Miam e fermandole nel suo gesticolare le dissi quello che sembrò per lei una grande delusione, le dissi che Maman aveva ragione.
Nel tempo che seguì avevo sempre Maman accanto ed ogni tanto dovevo frenare le sue pretese di esclusività. Spesso mi chiedeva di fare delle passeggiate insieme e non voleva nessun altro con noi. Camminavamo piedi nella sabbia e all’ombra degli alberi di nime5, parlottavamo piano osservando i coloratissimi disegni dei cars rapides6 e sorridendo ai caratteristici urli di richiamo degli autisti.Era piena di curiosità mi faceva domande su tutto e ascoltava attenta le mie risposte,
mi confidava i suoi progetti e mi chiedeva delle abitudini e usanze degli altri paesi che conoscevo.
Lungo i marciapiedi incontravamo file di banchetti dove le donne esponevano le loro merci multicolori, frutti, semi e spezie dall’odore a volte pungente. Maman mi spiegava l’utilizzo degli aromi che non conoscevo e sorrideva felice quando poteva insegnarmi qualcosa Allontanava con fermezza chiunque si avvicinasse a noi con futili richieste.
Mi colpiva per la sua decisione e per come sapesse esigere il rispetto degli altri, anche dai maschi e, se era inevitabile, anche con le mani.
Amava molto passeggiare, questo le permetteva di vedere cosa succedesse fuori casa e di soddisfare la sua curiosità A volte arrivavamo a piedi fino al mare. Restavamo in silenzio a godere del vento e a guardare le onde che sbattevano fragorose contro la scogliera dissolvendosi poi in bianchissima schiuma. A volte piccole gocce arrivavano fino a noi e ridevamo contente per quell’improvvisa frescura. La sua vera passione era il mare…. adorava il mare.
Una domenica mattina non la trovarono più, io lo seppi il pomeriggio, ma non me ne preoccupai molto conoscendo il suo senso di responsabilità e di quanto avesse bisogno di quella libertà che le era sempre negata.
Al tramonto la casa riecheggiò delle sue urla e del sibilo della cinghia che veniva
inesorabilmente battuta sul suo corpo dal padre. I due erano chiusi nel salone delle grandi occasioni…non mi era possibile intervenire e non mi era consentito, aspettai la fine di quello scempio a pugni chiusi, chiudendo gli occhi per il dolore e cercando di far arrivare la mia forza e il mio pensiero fino a lei nell’illusione e nella speranza di poterla aiutare a sopportare quel momento.
Maman era stata a vedere il mare.
Il giorno dopo rabbrividii guardando i segni a strisce rosa sulle sue gambe d’ebano….il cuore mi diventò piccolo piccolo, la strinsi forte a me
“Era bello il mare?” -“Si”-
“Ne valeva la pena ?” -“Si”-
Maman aveva solo dieci anni.
Note:
1 Tipico tamburo ricavato dal tronco d’albero e ricoperto di pelle di capra. Questo strumento non ha solo valore musicale ma anche mistico/rituale.
2 Coltello dall’impugnatura di legno e dalla lunga e larga lama (circa 50 ctm). Comunemente usato per quasi tutti i lavori.
3 Involtini d’interiora d’agnello. Specialità pugliese. Nei paesi venivano cotti sui carboni e per strada, all’esterno delle macellerie.
4 Fastidio.
5 Albero molto diffuso in Africa. Ha piccole foglie di un verde tenero e frutticini simili a piccole olive di colore giallo chiaro. Frutti e scorza sono alla base di molti rimedi della farmacopea tradizionale africana. Le svariate proprietà curative di questa pianta sono state riconosciute e confermate da approfonditi studi effettuati dai belgi.
6 Furgoni utilizzati come mezzi di trasporto pubblico. La carrozzeria (in Senegal) viene dipinta con disegni simbolici dai colori vivacissimi (di solito azzurro, arancio e verde) e scritte augurali o di ringraziamento (di solito a Dio o alla mamma). Non hanno vetri per consentire una maggiore aerazione e trasportano un numero di
passeggeri di molto superiore alla capienza del mezzo. Un aiuto autista, solitamente aggrappato alla parte posteriore, gridando a squarciagola e battendo ritmicamente delle monete sulla carrozzeria, indica il quartiere di destinazione, incita i passeggeri a salire e si occupa dell’incasso dei biglietti.
Simonetta Pagnotti
Ouagadougou, Burkina Faso
I lavatoi in pietra della discarica di Polesgo ricordano quelli delle nostre nonne, il sole è quello dell’Africa. Attorno, riparate dalle tettoie, giovani donne armate di spazzole strofinano brandelli di plastica tenuti a bagno in grandi bacili, per non sprecare l’acqua. Indossano il grembiule, ma sfoggiano capigliature ricercate e la loro pelle è di velluto, anche se molte vengono da lontano e hanno percorso chilometri di questa strada di polvere rossa per arrivare al lavoro, puntuali, alle 7.30 del mattino. Le più fortunate in motorino, le altre in bicicletta o a piedi.
Siamo nel centro di riciclaggio della plastica della discarica di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Qui lavorano 30 donne e con quello che guadagnano, circa 45 euro al mese, riescono a tirare avanti la famiglia e a mandare i bambini a scuola. “Il centro è una fortuna”, spiega la presidente, Margherite Kaborè, 34 anni, tre figli e un marito. Si è portata al lavoro l’ultimo nato, di 27 giorni, e lo dà in braccio a Cristina. Per queste donne lei è molto di più di un’amica bianca. Parla come loro, è andata ai loro matrimoni e ai loro battesimi, spesso le frequenta anche la domenica e nel tempo libero. Soprattutto, devono a lei questo lavoro.
Cristina Daniele, 29 anni, è la volontaria di Lvia (associazione internazionale di volontariato laico, collegata a Focsiv), che ha fatto partire il progetto nel 2005, e ha ricevuto il premio Volontari nel mondo-Focsiv. “Per un anno ho lavorato con queste donne”, racconta.
Una politica “ambientalista”
Nel giugno scorso, Cristina è tornata a Ouagadougou. E ha ritrovato una realtà che ha spazzato via gli ultimi dubbi. “Le donne del centro si erano riunite in associazione ed erano diventate autonome”, spiega. Molte hanno alle spalle esperienze difficili. “I rifiuti ci salvano”, scherza la vicepresidente Marie Claire Koussubé, 45 anni e 5 figli, orgogliosa di aver fatto diplomare il figlio più piccolo, 16 anni. “È molto difficile per una donna trovare lavoro qui. C’è il commerce, che non dà sicurezza, c’è chi fa la sarta o la coiffeuse, ma sono mestieri che danno lavoro solo durante le feste”.
Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri del mondo, ma il Comune di Ouagadougou è capofila di una politica “ambientalista” che ha portato all’apertura, due anni fa, di questa megadiscarica a Polesgo, a 10 chilometri dal centro, per una capacità di stoccaggio di circa 6 milioni di metri cubi di rifiuti.
A Polesgo lavorano circa 60 persone, tra cui le 30 donne del centro della plastica. E vengono delegazioni dagli altri Paesi africani, per imparare. Ouaga, come la chiamano i suoi abitanti, sta diventando la capitale del riciclaggio, oltre che la Bollywood d’Africa, grazie al Fespaco, la mostra biennale del cinema che attira le migliori energie del continente. Le contraddizioni di una città che a suo modo è diventata caotica, brulicante di traffico e di mercati attorno al nucleo centrale dominato dalla piazza della Rivoluzione, voluta dall’ex presidente Thomas Sankarà, l’eroe dell’indipendenza africana assassinato nel 1987, oggi recintata e spettrale.
Abiti colorati ed eleganti
Burkina Faso significa “terra degli uomini integri”, ma l’impressione è che in questa città lavorino solo le donne. Che sono ovunque. Nelle “boutiques” che vendono le mercanzie ai lati delle carreggiate, nei mercati, negli orti lungo i barrage, coi carretti per raccogliere i rifiuti a domicilio, con le anfore dell’acqua portate sulla testa come una corona. Sono abituate a questa fatica fin da bambine, in compenso ne hanno ricavato corpi allungati e movenze da modelle. Si cuciono da sole abiti colorati ed eleganti, fasciati sui fianchi. Lavorano anche per qualche sacco di riso o di miglio. Come le volontarie che arrivano alla discarica in pullman e che, sotto i nostri occhi, passano la mattina a diserbare la spianata, per evitare gli incendi, coi bambini legati dietro la schiena.
“Le condizioni della donna sono ancora molto difficili in Burkina”, ci spiega Cristina. Nelle famiglie di cultura tradizionale, vivono separate dagli uomini e si addossano tutte le incombenze più pesanti, fin da piccole. Il parto è ancora uno dei primi fattori di mortalità. “Le spese per un cesareo possono portare alla rovina economica una famiglia”, spiega Gigi Pietra, di Medicus Mundi, che lavora nelle strutture sanitarie dei Camilliani, a Ouaga e a Nanoro, a 100 chilometri dalla capitale. Anche la diocesi gestisce un ospedale, e una rete di assistenza che coinvolge le parrocchie di base. “A Ouaga si può morire di fame senza che nessuno se ne accorga, non c’è la solidarietà dei villaggi”, spiega il vicario, Nikiema Pascal. Per fortuna, al momento, non ci sono conflitti religiosi. “I musulmani vengono alle nostre funzioni e spesso, nella stessa famiglia, ci sono musulmani e cristiani”.
È mezzogiorno. Prima del pranzo, a base di polenta di miglio, le donne del centro pregano insieme, cristiane e musulmane. “Dobbiamo andare d’accordo, facciamo tutte la stessa vita, quando andiamo a casa abbiamo il peso della famiglia sulle spalle”, spiega Marie Claire. Dopo pranzo arrivano i bambini della scuola privata di Azimut, per una lezione di educazione ambientale. Ricevono in dono i kit prodotti con la plastica riciclata nel centro di formazione professionale di Saaba, gestito dai Fratelli della Santa Famiglia. Non è una cosa da poco, perché la scolarità in Burkina è molto bassa, anche a causa dei costi sia della scuola pubblica sia privata. Molti bambini la interrompono per essere usati nel commercio, le femmine non vengono fatte studiare.
Ma ci dicono che ad Azimut la metà sono femmine, anche alle superiori, e sono molto brave, un segnale che nei ceti meno poveri la sensibilità sta cambiando. Cristina fa parte di questa realtà. Si è fatta fare i mobili e le tende dalla gente del posto, la frequenta “per non vivere da espatriata”. È contenta di andare a casa sua, a Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, solo tre settimane a Natale.
Forse crede che il futuro dell’Africa sia legato proprio a queste donne. “Quando vado a casa gli amici mi dicono: “La gente in Africa muore di fame e tu ti preoccupi di riciclare i rifiuti”. Se venissero qui, capirebbero qualcosa di più”.
Piero Colaprico e Franco Vanni
Il sussurro della “salat el mout”, la preghiera islamica della morte, si propaga sin nelle scale di questo palazzone di Cernusco sul Naviglio. La fede aiuta, anche se le lacrime non se ne vanno: “Speriamo che qualcuno ci aiuti davvero a capire”, ripetono gli amici, anche se capire questa Milano insanguinata non è facile.
Abdoul detto Abba non aveva neanche diciannove anni ed è morto a bastonate, sotto il cielo grigio e piovoso di ieri mattina, al termine di una notte passata a sentire hip hop, e a muoversi in tram, in un lungo sabato senza ansie, con gli amici al fianco e la musica in testa.
Poi quel bar aperto e deserto. L’idea di prendere una scatola di biscotti chissà di chi è stata, ma è lui che la paga cara. I baristi, padre e figlio, scaricavano un furgone. L’hanno inseguito e raggiunto, avevano le spranghe. Hanno lasciato sull’asfalto lo “sporco negro” che sanguina dalla testa. Lo vedono là rannicchiato sull’ asfalto e girano le spalle. Chiudono la saracinesca. E se ne vanno a casa.
“Sì, siamo stati noi”, diranno nel pomeriggio di ieri, quando vengono rintracciati dai poliziotti della squadra Volante. Hanno avuto i loro nomi grazie ai vicini del bar, persone che si sono svegliate per le grida, gli insulti, le botte, le sirene. Per quei due baristi, con qualche piccolo problema giudiziario alle spalle, che alle 6.30 si sono trasformati in assassini.
Via Zuretti non è l’Alabama degli anni Sessanta, Milano non è una metropoli con i quartieri ghetto dove la polizia non entra e Abdoul, detto Abba, tutto era, meno che un criminale. Non lo dicono gli amici, lo raccontano le cose e le persone che si vedono là dove abitava questo ragazzo dall’ “eterno sorriso”. A cominciare dal padre, un operaio corpulento, in tuta blu anche di domenica, mentre la casa – stanno all’ultimo e ottavo piano – si riempie di gente, con le donne in cucina, gli uomini in salotto, dove campeggiano gli arazzi dorati con la Mecca. Invece, dove dormiva il ragazzo, ci sono i poster: quello grande di “50 cent”, il rapper nero, scoperto e lanciato da Eminem, il rapper bianco, e poi ecco la foto del neo-milanista, il Ronaldinho con le treccine.
Religione e sport, tradizione e vita moderna, tutto si fonde guardando la mano callosa del padre, il signor Assane Guiebre, 53 anni, dalla quale scivola via la manina di un bimbo di cinque anni, l’ultimo nato in questa famiglia con cinque figli. Un bimbo che amava quel fratello maggiore estroverso, mai stanco quando c’ era da giocare. Se il piccolo è senza parole, il padre ne è prodigo: “Chiedo al sindaco Letizia Moratti di organizzare i funerali di mio figlio, di trasformarli in una manifestazione sulla sicurezza, perché Milano non è una città sicura se dei ragazzi di diciannove anni vengono abbattuti come animali. Bianchi o neri non importa, quello che importa è che in questa città si possa vivere. Chiedo allo Stato, a Berlusconi, a Bossi di spiegare agli italiani che gli stranieri non sono delinquenti, perché qualcuno fa presto a prendersela con noi”. Tiene i nervi saldi, questo padre: “Mio figlio – ripete – era bravo, lo dico io, ma chiedete in giro, a chiunque. Anche l’ultimo mio bambino sarà educato come ho educato gli altri, come ho fatto con Abba. Gli dicevo di non avere paura. “Non farti spaventare, sei italiano”, ma bisogna rispettare per primi se si vuole essere rispettati, anche al piccolo dirò lo stesso”.
Forse qualche milanese vedendo la foto di Abba lo riconoscerà. Se ne stava talvolta al “muretto del Duomo”, nella zona pedonale di corso Vittorio Emanuele dove si concentrano alcuni rapper nostrani. Scuola media, due anni al Cfp comunale di Gorgonzola, poi l’iscrizione a un’agenzia di lavoro interinale, tanti lavori e lavoretti, le difficoltà di tantissimi ragazzi: ” Io ero un uomo-macchina, andavo al lavoro tornavo a casa, anni e anni sempre così, è stata questa la mia vita. Sono da trenta anni in Italia, sono tra i primi ad essere arrivato, lavoro in una fabbrica di ascensori, la Siag qua a Cernusco e il 23 luglio mi sono fatto male.
Sono del Burkina Faso, di un posto chiamato Gnagho, ma mio figlio – dice papà Assane – è italiano. Ed era giovane, qualche volta usciva, ma non fumava, non beveva, aveva una ragazza. E sapete – chiede scuotendo la testa – di che cosa abbiamo parlato alle 23, l’ultima volta che l’ho visto? Di lavoro. Di che cosa avrebbe dovuto combinare… “,in un mondo confuso, che per questa famiglia, e anche per gli assassini di un ragazzo nero che amava il rap, non sarà mai più quello di prima: “Per la prima volta – dice una sorella – ci siamo accorti di essere negri”.
Marinella Correggia
Presidente “a vita” del Burkina Faso dal 1987, dopo il colpo di stato in cui
fu assassinato Thomas Sankara, Blaise Compaoré ieri avrebbe dovuto ricevere a
Firenze il Premio Galileo 2000 con la seguente motivazione: “Per l’impegno
nella mediazione dei conflitti etnici e sociali”. Il Galileo è nato come
riconoscimento per meriti musicali e artistici ma, leggiamo dal sito, “siccome
chi ama la musica non può non amare la pace, il Premio è riconosciuto anche a
una figura di fama internazionale che è stata capace di aiutare con le proprie
azioni, impegno personale e morale la costruzione della pace nel mondo”.
Il nome di Compaoré fra i premiati 2008 ha suscitato stupore e sdegno da
parte dei Comitati Sankara XX, del Comitato Sankara di Firenze, di gruppi di
africani residenti in Italia che hanno preparato una manifestazione davanti
all’Istituto d’arte statale di Porta Romana. Ed ecco che all’improvviso ogni
riferimento al presidente burkinabè sparisce dal sito e gli organizzatori
confermano senza spiegazioni: Compaoré non riceverà il premio e non è in alcun
modo prevista la sua presenza alla cerimonia.
Mettiamola così: forse agli organizzatori del premio mancavano giusto un po’
di informazioni storiche e i Comitati Sankara gliele hanno fornite. A partire
dal fatto che il governo di Compaoré si è sempre rifiutato di condurre
un’inchiesta sulla morte di Thomas Sankara, ucciso da un commando nella polvere
di Ouagadougou, quel 15 ottobre 1987. Per questa ragione – e per un atto di
morte in cui c’era scritto “deceduto per cause naturali” – la famiglia Sankara
si era rivolta al Comitato per i diritti umani dell’Onu il quale nel 2006 aveva
di conseguenza accusato il governo burkinabè di violazione del Patto relativo
ai diritti civili e politici. Salvo dichiararsi quest’anno soddisfatto della
risposta del Burkina…che non aveva risposto.
I Comitati Sankara ricordano anche che “in un rapporto dell’Onu del 2004 a
carico di Blaise Compaoré è stata riconosciuta l’implicazione
nell’organizzazione di traffici con l’Unita nella guerra civile in Angola, con
Charles Taylor nella guerra civile in Liberia e in Sierra Leone”. E lo storico
burkinabè Joseph Ki-Zerbo riferì anni fa che Compaoré “riceve armi provenienti
dall’Europa centrale e da trafficanti francesi o americani. Armi che poi
vengono convogliate in Liberia e in Sierra Leone e in cambio si ottengono
diamanti”. Come mediatore di pace non c’è male.
L’assessore all’ambiente della provincia di Livorno, Marco della Pina,
protestando a sua volta per il premio, ha aggiunto altri pezzi di informazione.
Il rapporto 2008 di Transparency International sullo stato di corruzione dei
paesi del mondo declassa ulteriormente il Burkina che ora si trova nel gruppone
dei peggiori. Nel paese saheliano cresce il Pil, ma aumenta anche il numero di
poverissimi, che sono adesso il 65 per cento della popolazione. L’analfabetismo
è rimasto lo stesso di 20 anni fa, alla morte di Sankara: 70 per cento gli
uomini, 86 per cento le donne. Indice di sviluppo umano: il terzultimo del
mondo. Dal 2000 sono emigrati 3 milioni di burkinabè, il 25 per cento della
popolazione. Ingente lo schiavismo di bambini avviati al lavoro in altri paesi
da caporali.
Completa il quadro del “pacifista mediatore” Compaoré una denuncia del Comité
Catholique contro “la faim et pour le développement” che nel suo rapporto del
2007 elencava la fortuna personale del presidente di uno dei paesi più poveri
del mondo. Un Boeing, palazzi e ville in Burkina e a Parigi… Non potrebbe
essere maggiore la distanza rispetto a Sankara l’incorruttibile, il “presidente
più povero del mondo”. Che non ebbe nessun premio occidentale, ci risulta.
Comunque, niente paura: Compaoré avrà lustro dal primo vertice mondiale delle
star per la Terra, organizzato a Ouagadougou per il novembre 2008 dall’Alleanza
francofona. Blaise futuro premio Nobel?
SABATO 15 MARZO 08 Cena di solidarietà per finanziare i progetti dell’Associazione Watinoma e spettacolo “Incontriamo un Griot” con Hado Ima dal Burkina Faso
Arci La Locomotiva di Osnago c/o Stazione FS, Via Trieste, Osnago LC
Ore 22.00 spettacolo “Incontriamo un Griot” con Hado Ima dal Burkina Faso
Conferenza musicale: la cultura africana, l’animismo, i canti, la musica degli strumenti tradizionali, la vita nei villaggi. Un griot è uno “scrigno di parole”, un documento parlante, che insegna la saggezza e la storia, affinché la vita degli antenati serva da esempio, perché il mondo è vecchio ma l’avvenire viene dal passato.
Presenteremo brevemente i progetti dell’associazione Watinoma e il campo di lavoro che si terrà la prossima estate e saremo presenti con il nostro banchetto – www.arcilocomotiva.it – iniziative@arcilocomotiva.it
DOMENICA 16 MARZO 08 Spettacolo “Incontriamo un Griot”con Hado Ima dal Burkina Faso al Centro Sociale 28 Maggio a Rovato BS – mattina mercatino biologico, a seguire pranzo solidale e nel pomeriggio ore 15.00 spettacolo/dibattito interculturale, con Hado Ima, dal Burkina Faso, che ci intratterrà con la sua magia musicale di griot cantastorie africano – Centro Sociale 28 Maggio – Viale Europa 52 – Rovato BS – www.28maggio.org
SABATO 22 MARZO 08 V Rassegna di Teatro e Cinema per bambini Fabulosa – “Incontriamo un Griot”con Hado Ima dal Burkina Faso – spettacolo di animazione musicale interculturale – ore 15.30 – Cinema Roma – Seregno MI, Via Umberto I,
14 – ingresso ? 4,00 – www.controluce.com
MARTEDI 25 MARZO 08 Presentazione progetto Bangre, educazione alla mondialità nelle scuole italiane e adozioni scolastiche a distanza nei villaggi di Koubri e di Boulsa, Burkina Faso – Il progetto realizzato in collaborazione tra Centro interculturale La Mongolfiera, l’Ass. Watinoma e l’Ass. Oltre. sarà presentato alla cittadinanza e agli insegnanti – ore 18.00 – centro interculturale La
Mongolfiera, Via Volta 31, Pavia www.progettocontatto.it 0382-399614 oppure
Alberto 347-4606835
SABATO 29 MARZO 08 Cena di solidarietà per finanziare i progetti dell’Associazione Watinoma e spettacolo “Incontriamo un Griot” con Hado Ima dal Burkina Faso
Casa dei Popoli di Villasanta, Via Garibaldi, 6, Villasanta MI
Ore 19.30 cena – Menù di Mustapha (Senegal)
Stuzzichini africani
Yassa (riso con pollo e verdure alle spezie africane e zafferano)
Lah (dolce a base di miglio e yogurt)
Bissap e gingembre (bevande)
Vino e acqua
Prezzo Euro 16,00
Prenotazioni entro giovedì 27 marzo 2008 al numero 039-2052117 oppure Flora
348-3933216 (dopo le 12.30)
Ore 22.00 spettacolo “Incontriamo un Griot” con Hado Ima dal Burkina Faso Entrata libera
Conferenza musicale: la cultura africana, l’animismo, i canti, la musica degli strumenti tradizionali, la vita nei villaggi. Un griot è uno “scrigno di parole”, un documento parlante, che insegna la saggezza e la storia, affinché la vita degli antenati serva da esempio, perché il mondo è vecchio ma l’avvenire viene dal passato.
Presenteremo brevemente i progetti dell’associazione Watinoma e il campo di lavoro che si terrà la prossima estate e saremo presenti con il nostro banchetto – www.metacoop.org
DOMENICA 30 MARZO 08 Amigdala Theatre – ore 16.00 spettacolo “Incontriamo un Griot”con Hado Ima dal Burkina Faso, a seguire aperitivo etnico – Vi invitiamo a conoscere questo nuovo locale che coinvolge la vista e l’udito in moto totale. Un grandissimo spazio di 140 mq video proiettati, come un’immersione in una piscina di immagini che scorrono e fluttuano intorno a noi. Saranno proiettate le foto del Burkina Faso e sarà presente il banchetto dell’associazione Watinoma. — Viale Lombardia 31/33 (ingresso da Via Santi – posteggio vicino distributore Total, zona industriale), Trezzo sull’Adda MI – ingresso Euro 5,00 – www.amigdalatheatre.com
SABATO 5 APRILE 08 Planet World – Identità sonore – incontri di musica acustica e tradizionale – Hado Ima dal Burkina Faso – musica, favole e vita quotidiana di un Griot – spettacolo adatto sia ad un pubblico adulto che ai bambini – ore 17.00 – Teatro di Romagnano (Trento) – organizzato da Ass, Tandem e Centro servizi culturali Santa Chiara
DOMENICA 6 APRILE 08 Bloom “Il viaggiatore. Burkina Faso” a Mezzago MI, Via Curiel 39 – www.bloomnet.org
Ore 17.00 incontro per parlare di desertificazione e tecniche per combatterla, di prevenzione della malaria e di progetti in Burkina Faso. Intervengono: Hado Ima – griot del Burkina Faso che racconterà la sua esperienza e intratterrà con musica e canti tradizionali, Davide Losa – esperto di agricoltura naturale che spiegherà la tecnica delle palline d’argilla, Flora Tognoli, presidente associazione Watinoma. Saranno proiettate foto e sarà presente il banchetto di artigianato tipico del Burkina Faso.
Ore 19.30 cena di solidarietà – Menù di Mariam (Senegal)
Fataya (ravioli fritti con carne)
Ceeb-ujen (riso con pesce e verdure)
Chacry (dolce di yogurt e cous-cous)
Alternative per vegetariani
Acqua, vino e the
Prezzo Euro 15,00
Prenotazioni entro giovedì 3 aprile 2008 al numero 039-623853 oppure Flora
348-3933216 (dopo le 12.30)
VEN-SAB-DOM 11-12-13 APRILE 08 Fa la Cosa Giusta – tavolo dell’associazione
Watinoma – Fieramilanocity, Porta Eginardo, Viale Eginardo Milano –
www.falacosagiusta.org
Abbiamo molte novità sui nuovi progetti e le prossime iniziative.
YANGRE – GERMOGLI NEL DESERTO Lotta alla desertificazione nei villaggi di Koubri e di Boulsa
Iniziamo quest’anno un progetto di riforestazione per combattere la desertificazione. Ci sarà un forte coinvolgimento delle comunità locali e una valorizzazione delle loro conoscenze agricole. Ad esempio Yangre è il nome in Morè per identificare una tecnica tradizionale per piantare gli alberi. Molti interventi saranno realizzati dalla popolazione dei villaggi, sulla base di quello spirito di solidarietà e cooperazione all’interno della comunità che contraddistingue le società rurali africane. Il progetto si svolgerà nel villaggio di Koubri, dove sorge il nostro centro e nel villaggio di Boulsa, in una zona molto arida del nord-est del Burkina. A Koubri, dato che i terreni sono già lottizzati e quindi proprietà private, pianteremo alberi lungo i percorsi previsti per le strade, in modo da formare dei viali alberati che costituiscono la forma più efficace di lotta all’erosione eolica del terreno. A Boulsa invece, utilizzeremo dei terreni messi a disposizione dalla comunità locale. Le specie che abbiamo individuato, sono piante che oltre a svolgere un effetto benefico contro l’erosione del terreno eolica e idrica, danno frutti e prodotti utili per la sussistenza delle popolazioni locali, nella speranza che se il progetto avrà successo, potrà contribuire a creare nuove fonti di reddito. Affronteremo il problema degli animali vaganti che potrebbero mettere in pericolo le giovani piante, attraverso tecniche di siepi e con delle reti. A queste attività di riforestazione, abbineremo come da tradizioni locali, delle attività artistiche. Infatti, originariamente, la musica in Africa non era pensata come puro divertimento, bensì come necessario completamento delle attività agricole e rurali in generale. Quindi inviteremo dei gruppi di musicisti e danzatori per festeggiare con tutto il villaggio nella cerimonia finale a conclusione dei lavori.
riparazione pompe per l’acqua La riforestazione sarà abbinata alla riparazione di pozzi. Stiamo realizzando un censimento di tutte le pompe rotte che si potrebbero aggiustare nei villaggi di Koubri e Boulsa, migliorando notevolmente le possibilità di accesso all’acqua per le popolazioni rurali, con dei costi molto più bassi in confronto a quanto richiesto per la costruzione di nuovi pozzi. Le cene e gli spettacoli organizzati nei prossimi mesi serviranno anche per raccogliere fondi per questo progetto.
campo di lavoro e scambio culturale in Burkina Faso – AGOSTO 2008 Dal 10 al
26 Agosto di quest’anno organizziamo un campo di lavoro e scambio culturale di
16 giorni a Koubri e Boulsa. Questo campo di lavoro sarà strettamente correlato al progetto “Germogli nel Deserto”.
I settori di intervento saranno: educazione con bambini della scuola primaria, lotta alla desertificazione e attività di riforestazione attraverso varie tecniche, da svolgere in due villaggi, prevenzione della malaria attraverso la distribuzione di zanzariere, conoscenza della cultura locale: stage di danza e musica tradizionale africana, spettacoli di artisti tradizionali, partecipazione alla vita quotidiana del centro culturale dell’associazione in Burkina Faso, visita a luoghi di interesse (facoltativa).
Il contributo richiesto per la partecipazione sarà di euro 580 euro, comprensivo di vitto e alloggio, spostamenti, stage di danza, spettacoli di gruppi tradizionali di musica e danza, contributo al progetto. Se riusciremo a raggiungere o superare i 15 partecipanti il costo sarà ridotto a 550 euro Non
comprende: volo aereo, visto, assicurazione, escursioni facoltative.
Consigliamo vivamente tutti gli interessati di mettersi in contatto al più presto con noi. I particolari di questo campo di lavoro e del progetto “Germogli nel deserto” saranno presentati durante le iniziative di marzo e aprile.
Ricordiamo inoltre che il Centro culturale di Watinoma è aperto in qualsiasi periodo dell’anno, per ospitare
sia visitatori di passaggio, che alla ricerca di soggiorni di scambio culturale e collaborazione con le attività del centro.
segnalazioni
spettacolo gruppo watinoma 2008 Abbiamo iniziato la promozione del nuovo spettacolo del gruppo Watinoma per realizzare una tournè nei mesi di giugno
luglio settembre. Segnalateci feste, manifestazioni, festival o iniziative
dove vi piacerebbe incontrarci. Sul sito trovate il volantino di
presentazione. VOLONTARI CERCASI !! Siamo sempre alla ricerca di
volontari… Forza!!
Ci potreste aiutare per:
¨ banchetti di promozione e raccolta fondi, cene di solidarietà
¨ invio newsletter e gestione contact list
¨ elaborazione materiale video e foto , volantini
¨ aggiornamenti e promozione catalogo artigianato dei produttori
africani
¨ traduzione in francese di documentazione dell’associazione
Ass. culturale ITAL WATINOMA
www.watinoma.info
Cell. 348-3933216
“Il ben fatto non è mai perso”
Con il contributo di amiche e amici della Libreria abbiamo potuto mandare all’Associazione Talents de femmes euro 5.500 per sostenere la terza edizione del concorso letterario Voix de Femme-Grazia Zerman, rivolto alle ragazze delle scuole superiori di diverse zone del Burkina Faso.
L’associazione Talents de femmes è stata fondata nel ’92 da Odile Sankara assieme alle sue compagne Marceline Compaoré e Léontine Ouédrago, ha sede a Ouagadougou, capitale del Burkina, e attualmente raggruppa una ventina tra insegnanti, letterate, coreografe, attrici, formatori e assistenti culturali. Vogliono promuovere il talento femminile in ogni ambito delle arti e dello spettacolo e far emergere la parola femminile come apporto delle donne alla cultura burkinabé. Quando abbiamo conosciuto Odile ci ha parlato del suo Progetto per sostenere la formazione letteraria delle ragazze delle scuole superiori: l’intento è di far emergere giovani scrittrici nel Burkina Faso, dove una letteratura di donne manca ed è sentita come preziosa per l’intero paese. Questo progetto ha appassionato anche noi.
Un sentito grazie a tutte e tutti
Hanno sostenuto la terza edizione del concorso letterario Voix de Femme-Grazia Zerman:
Scuola di scrittura di Luisa Muraro e Clara Jourdan,
Corrado Levi, Luisa Muraro, Bice Mauri, Vita Cosentino, Giairo Daghini, Alberto Magnaghi, Giannina Longobardi, Letizia Bianchi, Marianella Sclavi, Loredana Aldegheri e Maria Teresa Giacomazzi (MAG Verona), La Comunità Diotima (Verona), Bozzola Antonietta, Clara Jourdan, Luciana Tavernini, Silvio Sarfati, Lia Cigarini, Silvia Baratella, Assunta Lunardi, Giuliana Borgonovo, Laura Modini, Nilde Vinci, Silvana Ferrari, Zina Borgini, Cristina Mecenero, Marirì Martinengo Anna Maria Verga, Renata Dionigi, Delfina Luisiardi e amici di Brescia, Ivana Trevisani e amiche di Brescia.
Un ringraziamento particolare va a Fiorella Cagnoni e al Trust Nel Nome della Donna.
Puoi sottoscrivere anche tu versando il tuo contributo sul
Conto Corrente Postale n. 58609603
intestato a Cosentino Vita e Rinaldi Maria
causale Per il Burkina.
Thomas Sankara Vent’anni fa moriva assassinato il «presidente ribelle» del Burkina Faso
In anticipo sulla politica dell’ambiente, ormai al centro dell’attenzione internazionale, il leader della rivoluzione burkinabè parlò nel 1986 della necessità di coniugare ecologia e sviluppo per salvare dal disastro l’Africa e «gli abitanti della Terra» Il colonialismo ha saccheggiato le nostre foreste. E continua impunita nel mondo la distruzione della biosfera con attacchi selvaggi alla terra e all’aria
Thomas Sankara
Pubblichiamo il discorso pronunciato a Parigi il 5 febbraio 1986 dal capitano Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, per la «Prima conferenza internazionale sull’albero e la foresta».
La mia patria, il mio Burkina Faso, senza dubbio ha il diritto di definirsi un concentrato di calamità naturali. Otto milioni di burkinabè hanno interiorizzato questa realtà in 23 terribili anni. Hanno visto morire le madri, i padri, i figli e le figlie, decimati da fame, carestia, malattie e ignoranza. Hanno guardato prosciugarsi stagni e fiumi. Dal 1973 hanno visto il loro ambiente deteriorarsi, gli alberi morire e il deserto invaderli a passi da gigante, sette chilometri all’anno.
Solo questa realtà permette di comprendere la genesi della legittima rivolta che, maturata per lunghi anni, è finalmente esplosa in forma organizzata nella notte del 4 agosto 1983, sotto forma di rivoluzione democratica e popolare del Burkina Faso. Qui non sono altro che l’umile portavoce di un popolo che rifiuta di guardarsi morire per aver assistito passivamente alla morte del proprio ambiente naturale. Dal 4 agosto 1983, l’acqua, gli alberi e la vita dell’ambiente sono ritenuti fondamentali e sacri in tutte le azioni del Consiglio nazionale della rivoluzione che guida il Burkina Faso.
Da circa tre anni il popolo del mio paese combatte la sua guerra contro la desertificazione. Da circa tre anni in Burkina Faso ogni avvenimento felice viene celebrato piantando alberi. Nell’anno scolastico 1986 tutti gli studenti della nostra capitale, Ouagadougou, hanno costruito con le proprie mani più di 3.500 stufe migliorate (a basso consumo) per le proprie madri, che si vanno ad aggiungere alle circa 80.000 costruite dalle stesse donne negli ultimi due anni. Questo è il loro contributo allo sforzo nazionale di ridurre il consumo di legna da ardere e proteggere gli alberi e la vita. Il diritto di acquistare o prendere in affitto uno delle centinaia di alloggi pubblici costruiti dopo il 4 agosto 1983 è strettamente condizionato dall’impegno dei beneficiari di piantare un numero minimo di alberi e curarli come la pupilla dei propri occhi.
Dopo aver realizzato più di 150 perforazioni di pozzi che garantiscono l’approvvigionamento di acqua potabile alla ventina di settori della nostra capitale fin qui privati di questo bisogno essenziale; dopo aver portato in due anni il tasso di alfabetizzazione dal 12 per cento al 22 per cento, il popolo burkinabè continua la sua lotta per un Burkina verde. In 15 mesi sono stati piantati 10 milioni di alberi nel quadro del Programma popolare di sviluppo. Nei villaggi situati lungo le valli dei fiumi ogni famiglia deve piantare e curare 100 alberi l’anno.
Il taglio e la vendita della legna da ardere sono stati completamente riorganizzati e regolamentati con severità. Tra queste regole c’è l’obbligo di avere un patentino per fare il commerciante di legname, di rispettare le zone designate per il taglio del legno, fino all’obbligo di assicurare il rimboschimento delle aree disboscate. Ogni città e villaggio del Burkina hanno oggi un bosco avendo ripristinato così una tradizione antica. Tutti i criminali atti di piromania che distruggono le foreste sono giudicati e sanzionati dai tribunali popolari di conciliazione di ogni villaggio. Una delle punizioni previste da tali tribunali è l’obbligo di piantare e curare un certo numero di alberi. Dal 15 gennaio è in corso un’ampia operazione chiamata «Promozione popolare dei vivai», per creare 7.000 vivai di villaggio. Riassumiamo queste tre azioni sotto il vessillo delle «tre lotte».
Vorrei farvi partecipi della nascita e dello sviluppo di un amore profondo e sincero tra i burkinabé e gli alberi nella mia patria.Ci sembra in tal modo di applicare i nostri concetti teorici agli specifici modi e mezzi della realtà saheliana, nella ricerca di soluzioni ai pericoli presenti e futuri che aggrediscono gli alberi in tutto il mondo.
Vogliamo affermare che la lotta contro l’avanzata del deserto è una lotta per la ricerca di un equilibrio fra esseri umani, natura e società. Sono venuto qui per denunciare quegli uomini che con il loro egoismo sono la causa della sfortuna del prossimo. Il colonialismo ha saccheggiato le nostre foreste senza nemmeno lontanamente pensare a lasciarle o a ripristinarle per il nostro domani. Continua impunita nel mondo la distruzione della biosfera con attacchi selvaggi e assassini alla terra e all’aria. E non lo diremo mai abbastanza fino a che punto spargano morte tutti questi veicoli che vomitano fumi. Chi ha i mezzi tecnologici per trovare i colpevoli non ha interesse a farlo, e chi ha quest’interesse manca dei necessari mezzi tecnologici.
La creazione in Burkina di un Ministero dell’acqua è segno della nostra volontà di porre chiaramente sul tavolo i problemi, per trovarne soluzioni. Dobbiamo lottare per trovare i mezzi finanziari necessari ad utilizzare le risorse idriche esistenti, per costruire pozzi, serbatoi e dighe. Noi denunciamo gli accordi unilaterali e le condizioni draconiane posti dalle banche e da altre istituzioni finanziarie che ci impediscono di realizzare molti nostri progetti. Sono condizioni proibitive che provocano un indebitamento traumatico dei nostri paesi privandoci della necessaria libertà di azione.
Il Burkina ha proposto e continua a proporre che almeno l’1% delle somme colossali destinate alla ricerca di forme di vita su altri pianeti sia destinato a finanziare la lotta per salvare gli alberi e la vita. Non abbandoniamo la speranza che il dialogo con i «marziani» possa farci riconquistare l’Eden; ma riteniamo nel frattempo, come abitanti della terra, di avere il diritto di rifiutare un’alternativa limitata alla sola scelta fra inferno e purgatorio.
Così formulata, la nostra lotta in difesa degli alberi e delle foreste è in primo luogo una lotta popolare e democratica. Una quantità di forum ed istituzioni non rinverdiranno il Sahel, se non abbiamo fondi per scavare pozzi di acqua potabile profondi cento metri, mentre c’è tutto il denaro necessario a scavare pozzi di petrolio profondi 3.000 metri! Crediamo nel potere della rivoluzione per bloccare la morte del Burkina Faso e per aprirgli un nuovo luminoso futuro.
Traduzione a cura di Laura Minguzzi
Indirizzo del soggetto promotore
Associazione Talenti di Donna
06 BP 9293 Ouaga 06
Tel. : 70244232
e-mail : talentsdefemmes@yahoo.fr
Obiettivo generale
Contribuire a far emergere donne scrittrici in Burkina
Obiettivi specifici
– Organizzare la terza edizione del premio letterario Talenti di Donna, Grazia Zerman
– Contribuire alla presa di coscienza da parte delle donne della loro situazione sociale attuale
– Favorire un riconoscimento nazionale e internazionale della produzione letteraria femminile
Luogo del progetto : Burkina Faso
Durata del progetto : Un anno
Costo totale : 22 527 euro
Contributo del soggetto promotore e dei partner del Burkina : 4359 euro
Sovvenzione richiesta : 18 168 euro
Preambolo
Scrivere!
Perché scrivere in un paese in cui la tradizione orale è al cuore della vita di tutti i giorni e dove la parola resta dunque uno dei vettori di comunicazione e di trasmissione?
Questa domanda può essere rivolta a tutto il continente e in modo particolare ai paesi dell’Africa sub-sahariana dove il tasso di alfabetizzazione rimane debole malgrado le campagne di alfabetizzazione.
Si tratta tuttavia di scrittura in questo progetto : Fare scrivere le donne che costituiscono più della metà della popolazione burkinabé.
Però il desiderio forte per la scrittura esiste lo stesso presso le donne del Burkina ma resta soffocato dal contesto socio-culturale, dall’assenza di un orizzonte per un inquadramento adeguato che possa valorizzarlo.
In una società dove la parola è un vettore della comunicazione sociale, di trasmissione di idee e che si trova appannaggio di una certa parte della popolazione, in una tale società, l’apprendimento della scrittura costituisce per le donne una forma originale di fare propria la parola e di fare valere i diritti a comunicare.
E’ in questo contesto e in questa prospettiva che l’associazione Talenti di Donna, fedele ai suoi obiettivi, vuole contribuire a far emergere la parola scritta femminile.
Questo progetto comprende parecchi aspetti e si svilupperà in molte tappe : l’organizzazione del concorso letterario seguito dalla cerimonia di attribuzione dei premi e la formazione poi l’edizione.
1. Presentazione del soggetto promotore : l’Associazione Talenti di Donna (A.T.F.)
Talenti di Donna è una associazione culturale, apolitica, e a scopo non lucrativo. E’ stata concepita nel 1992 da donne appartenenti all’ambiente delle arti dello spettacolo ed è solo nel dicembre del 1995 che fu ufficialmente riconosciuta come testimonia la certificazione N° 95-0358/MA/DGA/DELPAJ.
Ha la propria sede a Ouagadougou e conta una decina di membri provenienti da tutti gli ambienti socio-culturali e professionali del Burkina.
Talenti di Donna si è posta degli obiettivi che sono : Promuovere il talento femminile; Creare un orizzonte di incontro e di espressione delle donne artiste allo scopo di favorire l’espansione delle loro attività incoraggiando la creazione femminile in materia di spettacolo, la scrittura, favorendo la formazione per lo sbocciare di nuovi talenti.
Le attività svolte
Dalla sua esistenza, l’A.T.F. ha realizzato parecchie attività dal 1996 al 2007, di cui le principali sono
:
1996 – L’organizzazione delle “giornate delle arti dello spettacolo”
La creazione dello spettacolo ” Le cospose” di Fatima Gallaire in collaborazione con la NORAD (Norvegia). Opera recitata in Burkina, in Benin (FITHEB) in Costa D’Avorio (MASA) alla presenza di circa un migliaio di spettatori.
– Partecipazione al festival : sotto l’arcobaleno In Danimarca
– Organizzazione di una conferenza-dibattito sul tema : le donne in scena, l’esperienza di quelle che hanno avuto successo
1997 : prima edizione del festival “VOCE DI DONNE” sostenuto finanziarmente soprattutto dall’Ambasciata dei Paesi-Bassi e la cooperazione svizzera. N posto importante era stata accordata ai gruppi di musica, canto, danza in ambiente rurale, una esposizione di colori, del teatro e della formazione. Abbiamo registrato circa un centinaio di partecipanti.
Altre tre edizioni seguiranno dal 1999 al 2005. Nel 2006, la quinta edizione del festival si intitola ” Incontri Internazionali delle Donne Artiste di Ouagadougou” (RIFAO)
2003 – Partecipazione alla notte degli scrittori africani
2004-2006 : Prima e seconda edizione del Premio letterario Talenti di Donna, GraziaZerman sostenuto principalmente dalla Libreria delle donne di Milano.
Quindici scuole di insegnamento secondario hanno partecipato al concorso con due generi letterari a scelta : poesia, novella.
In totale trenta insegnanti sono stati direttamente coinvolti per la preselezione e la selezione finale.
Tredici le migliori opere selezionate e dieci ragazze premiate.
2. Il contesto
Il Burkina Faso è un paese giovane e Ouagadougou la capitale dispone di un potenziale culturale ed artistico molto vario. In effetti è una città cosmopolita dove vivono parecchie etnie del Burkina e numerose altre nazionalità. Questa diversità arricchisce la cultura locale ed ha un impatto positivo sulla vita culturale e artistica della città. L’artigianato è molto sviluppato così come le manifestazioni e si contano parecchie sale per le mostre e una decina di sale per gli spettacoli.
Ouagadougou accoglie anche numerose manifestazioni culturali e artistiche fra cui le più importanti sono :
3 Le FESPACO
4 Le SIAO
5 Le FITMO
6 Le FIDT
7 Le festival Voix de Femmes etc.
In Burkina Faso alcune artiste padroneggiano parecchi campi artistici : arti plastiche, arti dello spettacolo, letteratura. Questo ultimo modulo ci interessa poiché le autrici sono poco numerose.
Il Burkina Faso ha una forte tradizione orale. Conta una sessantina di etnie e 59 lingue recensite e tutte sono radicate nell’oralità.
In un tale contesto la scrittura potrebbe essere vista come un lusso di fronte al tasso di alfabetizzazione che raggiunge faticosamente alla sufficiente. Tuttavia alcune lingue conoscono la forma scritta da decenni. Le campagne di alfabetizzazione hanno permesso ad un’ampia popolazione di scrivere nella loro lingua. Ma la presa di parola sia orale che scritta da parte delle donne resta timida. Le donne in una minima parte prendono la parola con difficoltà per mancanza di fiducia in se stesse e purtuttavia costituiscono più del 50% della popolazione burkinabé. Non andremo ad approfondire in questo momento le ragioni di un tale stato di fatto dato che non rientra nel merito di questo progetto, ma possiamo comunque dire che questa situazione soffoca dei talenti femminili che avrebbero potuto contribuire con il loro genio al patrimonio culturale nazionale. Ben lungi dal peccare di pessimismo, Talents de Femmes vuole credere alla dinamica dell’evoluzione perché se poche donne scrivono in Burkina e se i nomi delle autrici conosciute sono rimasti sempre gli stessi per molto tempo, oggi le cose sono cambiate. In effetti negli ultimi cinque anni sono emersi nuovi talenti fra le donne scrittrici. Ed è in questa nuova creatività che s’inscrive questo progetto letterario.
Contribuire a dare un impulso dinamico alle donne e principalmente alle giovani donne affinché s’interessino di più alla scrittura.
3. Descrizione del progetto
Natura del progetto
Dopo due edizioni del premio letterario organizzato nel 2004 e nel 2006, si tratta ora di organizzare la terza edizione nel corso dell’anno 2007-2008 in collaborazione sempre con i licei e le scuole medie del Burkina.
Per noi la cornice dell’insegnamento è un trampolino per creare il coinvolgimento e mettere in piedi una rete attorno al progetto. Noi partecipiamo in questo modo all’organizzazione del pensiero femminile che si radica nel pensiero nazionale. Questo conferirà una dinamica nuova ai dibattiti. Perché queste donne e queste ragazze provenienti da regioni e da ambienti socio-culturali diversificati sono delle vere testimoni della vita del Burkina e da questo punto di vista, tratteranno delle tematiche che vi fanno riferimento.
Il nostro obiettivo è dunque di contribuire all’emergere di una scrittura femminile in un contesto dove la donna non osa sovente prendere la parola per partecipare alla riflessione. Allora potranno imprimere e trasmettere attraverso le generazioni, dei valori di educazione in quanto prima educatrice nella cellula familiare.
Gli obiettivi
Obiettivo generale
– Contribuire all’emergere delle donne scrittrici in Burkina Faso
Obiettivi specifici
– Organizzare la terza edizione del premio letterario Talents de Femme, GraziaZerman
-Contribuire alla presa di coscienza delle donne della loro situazione sociale attuale
– Favorire un riconoscimento nazionale e internazionale della produzione letteraria femminile
I risultati attesi
A breve termine
– La terza edizione del premio letterario con in media duecento partecipanti
– L’attribuzione dei premi alle vincitrici
– Lo svolgimento della tavola rotonda sul tema : donne d’Africa e scrittura
A medio termine
– Corso di scrittura residenziale : una formazione per una ventina di partecipanti
– Cinque dei migliori testi tradotti nelle due principali lingue parlate del Burkina : mooré e jula
– una raccolta edita in tre esemplari : mooré, francese e jula
A lungo termine
– Lettura e/o drammatizzazione teatrale dei testi
4. Strategie di realizzazione pratica
Per facilitare la messa in pratica del progetto è importante rendere parte attiva in primo luogo la direzione e l’amministrazione di ogni scuola che partecipa. La loro diretta implicazione favorisce la formazione della equipe pedagogica, della cura tecnica del progetto e gli fornisce in egual misura una spinta morale.
Una informativa sarà inviata alle scuole di insegnamento secondario in tutto il paese poi seguirà una missione preparatoria nelle scuole interessate e scelte dall’ATF.
Sono le scuole stesse che avranno a cuore il lancio del progetto presso le studenti e si incaricheranno della preselezione dei cinque migliori testi nella loro scuola. Conoscono le allieve e il loro livello di istruzione, qualsiasi cosa atta a prevenire eventuali frodi, dato che le ragazze scriveranno al di fuori delle lezioni scolastiche. L’insieme degli scritti preselezionati saranno valutati congiuntamente da due insegnanti.
Dieci testi ogni scuola. In totale 50 testi preselezionati saranno inviati a Ouagadougou per la selezione finale.
Talents de Femmes proporrà il premio letterario a livello universitario, al dipartimento delle arti e lettere e agli scrittori per la formazione del jury finale. Questo permette di ampliare la rete, di legittimarla e di radicarla.
L’organizzazione di una tavola rotonda è un mezzo di riunire le protagoniste della scrittura e dell’editoria per discutere alcune questioni spinose : scrittura, lettorato e barriera linguistica, editoria e circolazione delle opere etc.
Talents de Femmes impiegherà tutti i mezzi necessari per realizzare dei supporti di tipo comunicativo per divulgare il progetto fra la gente e promuovere così la partecipazione e la produzione scritta. Questo permetterà di costituire un archivio e dare continuità al progetto.
La formazione è un mezzo per dare gli strumenti tecnici necessari alle vincitrici e ad altre partecipanti per continuare a scrivere e costruirsi un proprio cammino di scrittura.
Si richiederà a questo scopo un esperto di formazione di carattere nazionale.
Lancio del concorso : sarà lanciato in novembre all’apertura dell’anno scolastico 2007-2008 nelle scuole secondarie delle cinque regioni del Burkina.
Le scuole partecipanti : riguarda qualsiasi scuola di insegnamento secondario privata o pubblica che desideri prendervi parte. Noi limiteremo il numero a dieci scuole.
Le partecipanti : allieve di qualsiasi nazionalità iscritte e che frequentano la classe quarta o la classe quinta.
Genere : poesia
5. I mezzi
Risorse umane
Il comitato organizzatore
Un comitato organizzatore costituito dai membri dell’ATF che hanno acquisito una competenza in materia di organizzazione insieme ad altre competenze.
Talents de Femme si occuperà di :
– Formazione del comitato
– Lavoro preliminare
Si tratterà di fare spostamenti in tutto il paese per incontrare i capi di istituto ed i professori di francese dei suddetti istituti al fine di fare conoscere e promuovere il concorso.
– Formazione della giuria
Ci saranno due giurie : la giuria della preselezione e la giuria finale
– Promozione
Si tratterà di operare alla promozione dell’attività in materia di comunicazione, pubblicità, incontro con la stampa.
– Bilancio
Un bilancio sarà inviato ai partner
Una equipe pedagogica e tecnica qualificata
La giuria
– Venti (20) insegnanti per la giuria di preselezione
– Tre (3) insegnanti e scrittori per la giuria finale
Tavola rotonda e attribuzione di premi
– Tre (3) comunicatori per la tavola rotonda e un facilitatore
– Due (2) compagnie culturali di animazione
– Un animatore per la serata dell’attribuzione dei premi
La formazione
– Un (1) formatore
– Venti (20) ragazze stagiste
Traduzione ed edizione
– Traduzione affidata all’Istituto Nazionale di Alfabetizzazione (INA)
– Edizione affidata ad una casa editrice
L’ATF ha sempre al suo fianco dei collaboratori del :
– Ministero dell’educazione nazionale
– Ministero delle Arti della Cultura e del Turismo
– Ufficio nazionale dei genitori di allievi
I mezzi materiali
Materiali da affittare
– Un mini-bus da quindici posti per la serata di attribuzione dei premi per due giorni
– Una sala di correzione per la giuria finale per due giorni
– Una sala per la tavola rotonda
– Una sala per lo spettacolo della serata di attribuzione dei premi
– Un centro di accoglienza per la formazione con albergo e sala di lavoro per due settimane
Materiale da acquistare
– Materiali di consumo
– Materiale didattico per le iscritte
– Materiale audio-visuale : videocamera, macchina fotografica
Mezzi finanziari
14 646 500 franchi CFA cioè 22 527 euro
6. Calendario
Da settembre 2007 a ottobre 2008
Settembre : organizzazione del comitato organizzativo
Ottobre : lavoro preliminare
Novembre : selezione delle scuole e lancio del concorso
Dicembre-febbraio : produzione dei testi
Marzo : preselezione
Aprile : selezione finale
Maggio : tavola rotonda : donna e scrittura
Cerimonia di attribuzione di premi
Bilancio parziale
Luglio : formazione
Ottobre : traduzione e stampa
Richiesta
Noi ci auguriamo di stabilire un rapporto di collaborazione continuativo per potere sviluppare il progetto e radicarlo presso la popolazione che ci interessa e coinvolgere anche le donne delle campagne alfabetizzate.
Vorremmo rivolgerci anche al mondo universitario.
E’ importante anche poter arrivare a un investimento tale che ci permetta in futuro di autofinanziare il progetto.
Lo spettacolo che presentiamo quest’anno si intitola “Le danze delle donne Mossi”. Il gruppo sarà composto da tre musicisti, Hado, Harouna e Hadbila, e tre ballerine, Hortense, MarieRose e Parimyele.
Presentazione dello spettacolo
I Mossi sono l’etnia più numerosa del Burkina Faso, la loro lingua si chiama Moré e vivono in un’ampia zona centrale del territorio del paese, circondati da tutte le altre etnie.
Secondo il mito della loro origine discendono dall’unione tra la giovane principessa Yennega, amazzone e ribelle, e un principe cacciatore Mandingo.
Le eredi di questa donna intelligente e coraggiosa presentano le loro danze:
Wed-binde, che vuol dire danza a cavallo, per il ritmo delle zucche e dei vasi che richiama il suono di un cavallo al galoppo. E’ una danza delle giovani donne per mostrarne la bellezza, l’energia e la femminilità in occasioni di festa e gioia.
La danza Warba, ballata soprattutto in occasione di funerali, e ciò nonostante di grande movimento e sensualità. Le danze delle maschere, le danze Mossi, e… molte altre danze ancora!
Ecco il programma (ancora incompleto):
DOMENICA 13 MAGGIO 07 Buon Compleanno Bloom — grande festa per il ventesimo anniversario del Bloom – banchetto dell’Associazione Watinoma – Bloom, Via Curiel 39 – Mezzago MI – tel 039-623853 – www.bloomnet.org
DOMENICA 20 MAGGIO 07 15ª edizione Festa dei Popoli — banchetto dell’Associazione Watinoma – presso i Missionari Saveriani, Via Don Milani 2, Desio MI
VENERDI 25 MAGGIO 07 “Tutta un’altra cosa 2007” Fiera del commercio equo – alle ore 12.00 in collaborazione con Equo Mercato, “Vestiti di mondo” sfilata degli abiti prodotti dagli artigiani dell’associazione Watinoma in Burkina Faso, con accompagnamento musicale degli artisti del gruppo Watinoma. Nel pomeriggio presentazione del progetto Watinoma presso gli stand di Libero Mondo e Equo Mercato – organizzato da Centro Missionario PIME Via Mosè Bianchi 94, Milano – www.tuttaunaltracosa.it
SABATO/DOMENICA 26/27 MAGGIO 07 Andersen Festival – Festival di teatro di strada e urbano – esibizione del gruppo Watinoma sabato alle 15.00 e alle 22.30, domenica alle 18.30 e alle 21.30 – Comune di Sestri Levante – organizzato da Associazione Artificio23 – www.andersenfestival.it
MERCOLEDI’ 30 MAGGIO 07 Giornata per le scuole del PIME – animazione per ragazzi – a Sotto il Monte BG
VENERDI/SABATO/DOMENICA 1/2/3 GIUGNO 07 Artisti in Piazza – Festival Internazionale dell’arte di strada – varie esibizioni del gruppo Watinoma nell’arco delle giornate del Festival – a Pennabilli (Pesaro) – organizzato da
Associazione culturale Ultimo Punto – www.artistiinpiazza.com
SABATO 9
GIUGNO 07 Festa di fine anno della Scuola – in mattinata: animazione per
bambini – a Merate LC – organizzata da PIME – www.pimemilano.com Festa
Comune di Pavia – ore 18.00 animazione per bambini – ore 21.00 spettacolo
“Watinoma: Le danze delle donne Mossi” – nel cortile del Castello Visconteo di Pavia – organizzato da
DOMENICA 10 GIUGNO 07 Borgis Folk Festival – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” – in Piazza Matteotti, Grugliasco TO – organizzata dall’Associazione La Paranza del Geco – www.paranzadelgeco.it
SABATO 16 GIUGNO 07 SUD SUD Festival – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” alla Cascina Monluè ore 21.30 – nel pomeriggio dalle 19.00 alle 20.30 stage di danza tradizionale del Burkina Faso con le ballerine Hortense e Marie Rose del gruppo Watinoma – organizza Arci Metromondo – www.metromondo.it
SABATO 23 GIUGNO 07 Veregra Street Festival – La notte bianca della musica popolare – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” alle ore 22.00 a Montegranaro AP – organizzato dall’Assessorato alla Cultura e Turismo del comune di Montegranaro – www.veregrastreet.it
DOMENICA 24 GIUGNO 07 Festival Ritmi e Danze dal Mondo – spettacolo
“Watinoma: Le danze delle donne Mossi” presso lo Stadio Comunale di Giavera del Montello TV – organizzato da Associazione Barbapedana – www.ritmiedanzedalmondo.it
GIOVEDI’ 28 GIUGNO 07 Apartilha Festival dei Popoli – spettacolo “Watinoma:
Le danze delle donne Mossi” alle ore 21 – a Muggiò MI organizzato dall’Associazione Missionaria dom Helder Camara. Nei giorni successivi, 29 e 30 giugno e 1 luglio saremo presenti con un banchetto dell’associazione – www.apartilha.it
MERCOLEDI’ 4 LUGLIO 07 Vignale Danza – 29° Festival internazionale di danza e arti integrate – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” – Vignale TO – organizzato da Teatro Nuovo Torino – www.vignaledanza.com
GIOVEDI’ 5 LUGLIO 07 Festa dei Popoli – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” – Comune di Andora SV – organizzato da Arci Macondo – www.arcimacondo.net
SABATO 7 LUGLIO 07 Festa patronale SS. Pietro e Paolo – spettacolo
“Watinoma: Le danze delle donne Mossi” alle ore 21.00, a seguire conferenza/dibattito sul Burkina Faso – presso Cine-teatro Fumagalli – Vighizzolo di Cantù.- organizzato dalla Parrocchia di Vighizzolo
SABATO 21 LUGLIO 07 Festival dei Girovaghi – spettacolo “Watinoma: Le danze delle donne Mossi” alle ore 22.00 – a Compiano Parma – organizzato da Associazione Culturale Barbara Alpi
Vi aspettiamo come sempre numerosi.
Attenzione: segnaliamo lo STAGE DI DANZA del 16 giugno: se siete interessati iscrivetevi al più presto! Telefonate a Flora 348-3933216
Per quanto riguarda gli stage di danza: organizzeremo un secondo stage con le ballerine Bebè e Hortense in data da definire, faremo sapere al più presto.
Inoltre è possibile partecipare allo stage di Mamadou Ouattarà domenica 27 maggio a Bollate MI: 4 ore costo euro 40. Per info, orari e iscrizioni: Marzia
349-8635283 e-mail: marziadc@virgilio.it
APPELLO: siamo stati invitati a mettere il nostro banchetto in numerose iniziative, ma dato il calendario piuttosto fitto non ce la facciamo. Se qualcuno fosse interessato a collaborare con noi per questa attività si metta in contatto al più presto!
Viaggi di turismo solidale in Burkina Faso
Nella seconda metà di aprile, abbiamo realizzato un viaggio di 15 giorni con un gruppo di 6 turisti responsabili. Si è trattato di un gruppo di amici pre-costituito che ci avevano chiesto un programma di viaggio orientato sugli
aspetti culturali e umani. Crediamo di averli soddisfatti!! Nel corso del
viaggio hanno potuto conoscere le abitazioni e le abitudini quotidiane di molte
etnie: i Gourounsi, i Lobi, i Bobo, i Mossi, i Peul, i Touareg. Grazie alla presenza e alla mediazione di Hado hanno assistito a numerose esibizioni di artisti tradizionali, tra cui le danze dei giovani Gourounsi, le danze delle maschere di animali dei Dodo, i rituali delle machere dei Mossi e le danze delle donne; ma soprattutto hanno conosciuto Stone House e il nostro progetto.
Ecco nelle parole di uno dei partecipanti le loro sensazioni: “Quasi tutti,del nostro gruppo, hanno già visitato diversi paesi dell’Africa, anche quella dura, per cui il viaggio è stato interessante non tanto o non solo per quanto abbiamo visto ed apprezzato, ma per il contesto in cui si è svolto. Prima di tutto Stone House (ed i suoi abitanti) che ti abbraccia, ti avvolge con spontanea naturalezza ti fa veramente sentire “a casa” per il calore umano che respiri. La sensazione, inoltre, (complice la presenza piacevole e talvolta istrionica di Hado) di arrivare a vedere e vivere momenti e dimensioni di autenticità e spontaneità di vita comune. …Molto interessanti le danze…” (foto allegata)
Per quanto riguarda il viaggio di agosto: se siete interessati, affrettatevi a confermare, il tempo non è molto! Allego nuovamente il volantino e il programma per chi non l’avesse ancora ricevuto.
Promozione dell’artigianato Negli ultimi mesi il secondo container che era stato spedito è arrivato e il materiale ricevuto è stato valutato positivamente. Anche un successivo pacco spedito via aerea è arrivato senza problemi.
Come segnalato nel calendario eventi saremo presenti il 25 giugno alla fiera Tuttaunaltracosa, per la sfilata di abiti etnici e nel pomeriggio per la presentazione del ns. progetto presso gli stand di Equo Mercato e Libero Mondo.
SOLIDARIETA’ CON LA COMUNITA’ LOCALE
Siamo sempre più decisi ad iniziare la costruzione a Stone House di un locale da adibire ad infermeria. Anche in mancanza di un locale, si moltiplicano comunque gli interventi sanitari a sostegno della popolazione di Koubri, in particolare donne bambini. Siamo alla ricerca di personale con competenze mediche (infermiere, pediatri, medici) disposti a venire presso il nostro centro per dei periodi di lavoro volontario e per addestrare personale locale.
Spargete la voce!!
I visitatori che abbiamo ricevuto a Stone House il mese di Aprile ci hanno fatto un’importate donazione di medicinali. Stiamo per ricevere anche un nuovo contributo che ci permetterà l’acquisto di un frigorifero a gas per la conservazione di medicinali deperibili, test per la malaria e nuove zanzariere da distribuire alle donne con bambini piccoli.
Stiamo iniziando un progetto in collaborazione con ICEI Ong per la coltivazione in Burkina dell’artemisia a scopo curativo della malaria. Siamo ancora nelle fasi iniziali ma vi terremo aggiornati.
Ciao, a presto,
Flora
Ass. culturale ITAL WATINOMA
www.watinoma.info
Cell. 348-3933216
“Il ben fatto non è mai perso”
Nota bene: L’Associazione ITAL WATINOMA utilizza la posta elettronica solo per diffondere messaggi di informazioni e comunicazioni sulle proprie attività culturali e di solidarietà sociale nonché di associazioni e/o altre realtà con le quali la stessa collabora, senza fini di lucro. In relazione alle Leggi 675/96, n 196/2003 e successive modifiche di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali, si precisa che gli indirizzi e-mail provengono da nostri soci, da conoscenze personali di amici/che e conoscenti, da contatti avuti in occasione delle nostre attività, dalla rete o da elenchi e servizi di pubblico dominio. Se questo messaggio vi è giunto per errore o non desiderate ricevere altre comunicazioni è sufficiente rispondere alla presente e-mail con la parola “cancella” e provvederemo immediatamente a togliere il vostro indirizzo dall’elenco.
Roberto Silvestri
Vado al cinema per vedere cose mai viste. Parola di Man Ray. Ottimo consiglio. E farebbe sensazione vedere, da stasera in tv, qualche film di Sembene Ousmane, lo scrittore e cineasta senegalese d’origine operaia, pioniere di un’arte africana indipendente, critica, saporita e di ricerca, morto sabato 9 giugno a 84 anni.
Susciterebbe salutari strepiti. Per i temi affrontati, per i set e gli sfondi inediti (l’«interno qualunque di una casa africana d’oggi» è l’invisibile per eccellenza, il tabù estremo nei canali tv intossicati d’esotismo), per il punto di vista appassionato, per la libertà con la quale, non senza humor sferzante, Sembene Ousmane fabbrica piaceri schermici e sgretola divieti e pregiudizi (religiosi, sessuali, politici).
I suoi film, per lo più cucinati (metafora che usava spesso) secondo collaudate tradizioni popolari (cioé mai noiosi, e, se realisti, «all’americana», alla Claude McKay) e in lingua wolof o diola, perché l’85% del suo pubblico è analfabeta, altro che francofono, sono interrogazioni complesse, senza risposte né proclami («denuncio i mali dei peggiori»), che rovesciavano astutamente i rapporti di potere bianco/nero; comunità/individuo; vecchio/giovane; uomo/donna, ricco/povero… Vediamole, queste sue interrogazioni: l’ipocrisia colposa dei cooperanti bianchi? Le noire de… (’66), primo lungo a soggetto subsahariano della storia e già premio Vigo. La corruzione nelle società postcoloniali? Le Mandat (’68). L’orrore aberrante delle tradizioni, quanto più ancestrali tanto più reazionarie? Emitai (’71). L’impotenza sessuale e politica della nuova élite al potere, al guinzaglio dell’Europa? Xala (’75). I crimini del fondamentalismo animista, islamista e cristiano nel continente nero? Ceddo (’77), il più censurato. Il perfido trattamento dei soldati africani usati prima come carne da macello e, vinto Hitler, massacrati se rivendicavano l’eguaglianza? Camp de Thiaroye (’87). L’Islam spiegato, da un ateo, ai neo-guerrafondai cristiani? Guelwaar (’92). Come le donne sfibrano il machismo e rifiutano le mutilazioni genitali (tollerate in 38 dei 54 stati del continente)? Faat Kiné – omaggio esplicito a Billy Wilder e Jerry Rawlings – e Moolaadè (2000 e 2004). Pensare a sinistra, per lui, come per Rossellini, è uno scavare continuo sotto la superficie della storia vincente, un’autopsia dallo sguardo plurale (Autopsia d’un cinema è il titolo dell’ultimo saggio). Con Sankara vivo il progetto della vita, la saga anticoloniale su Samory Touré che guidò la resistenza armata antifrancese si sarebbe realizzata. Ma con la Francia che controlla ormai il cinema del continente? Come Chaplin, come l’adorato von Stroheim, il pur omaggiato (dai transalpini) Sembene Ousmane (l’intera collezione in dvd è appena uscita), fu via via messo in condizione di non nuocere.
Se il nostro servizio pubblico tv (Fuori Orario escluso), ignaro delle responsabilità che ha, continuerà a rimuovere giocondamente tutto questo, come anche altri ricchi giacimenti culturali e il terzo cinema di cui il padre del cinema africano Sembene fu esponente radicale («né con Hollywood né col cinema borghese d’autore»), molto più grave è l’indifferenza euro-progressista verso la «nuova sinistra» del sud (si vedano i necrologi sbrigativi dei quotidiani «democratici» di ieri). Sembene, «soldato di De Gaulle», fu iscritto al Pcf dalla «guerra fredda» fino al 1960. Le posizioni razziste e neocoloniali del partito (e di Mosca) in Algeria lo costrinsero all’esodo, a inventare, prima di Berkeley e del ’68, con Franz Fanon e i panafricanisti al lavoro, W.E.B. Dubois (che incontra nel ’58), N’Krumah, Lumumba, Sankara, altri tragitti rivoluzionari più che comunisti (istantaneamente repressi) mentre la macchina di Thorez/Marchais imboccava il moderato viale del tramonto che conosciamo.
Nato l’1 gennaio 1923, Sembene è allevato da uno zio religioso, scrittore dilettante, Abdu Raxman Joop, che gli insegna l’arabo, il francese: «e a non farmi mai toubabizzare (colonizzare dall’uomo bianco), però non sono credente, credo soltanto nell’uomo». Autodidatta, «il mio training – diceva – l’ho fatto nell’università della strada», fa 36 mestieri, è pescatore a 15 anni, sarà metalmeccanico Citroen. Si trasferisce a Dakar, è tirailleur dal ’42 al ’45, leader sindacale, prima in patria poi a Marsiglia (dove arriva clandestino e per 10 anni è portuale). Partecipa negli anni ’50 ai cortei per Vietnam e Algeria liberi e ripudia la politica dell’assimilazione. Entra nel gruppo di Presence Africaine e, resosi conto che «in Africa, con i libri, si raggiungono poche persone», su consiglio di Sartre e Rouch studia cinema al Vgik di Mosca, e negli studi Gorki, maestri Donskoi e Gherassimov. Viaggia molto (Danimarca, Cina, Cuba…). Esordisce col corto Borom Sarret, ’62; seguono L’Empire Songhay (’63, mai distribuito), Niaye (’64), Polygamie e Problème de l’emploi (’69), Taw (un giovane diplomato, disoccupato a Dakar…) e i «lunghi» di cui abbiamo parlato. Premiato immediatamente nei festival internazionali, la sua celebre pipa non si perderà più un’edizione di Tunisi e Ouagadougou. «L’artista deve essere la bocca e le orecchie del popolo. Siamo i moderni griot, lo specchio che riflette e sintetizza i problemi, le lotte e le speranze del nostro popolo». Al «patriarca del cinema africano» fu conferito nel gennaio 2007 il premio Nonino (in giuria anche Ermanno Olmi e Morando Morandini), ma il cineasta era già malato e non venne.
Non amava i critici («non leggo mai cosa scrivono»), non amava le interviste («io parlo, loro pubblicano il libro e incassano i diritti»), non amava i giovani cineasti impertinenti (nel caso di Camp de Thiaroye) che lo rimproveravano di scippato un copione altrui. Ma le sue restano le fruste brechtiane messe più a segno contro lo sfruttamento e le ingiustizie di un continente che sa farsi molto male anche da solo. Opere più che realiste che aprirono la storia del cinema africano postcoloniale, ricominciando dallo stile fertile nouvelle vague, vivisezionando e combattendo con ogni mezzo necessario i mali dell’Africa «a sovranità limitata» che sono anche i nostri.
Cari amici e care amiche,
sabato 23 e domenica 24 giugno la CasaLaboratorio dell’Asinara di Casaltone ospiterà il laboratorio di teatro residenziale “Sulla scena del mondo” condotto dall’attrice burkinabé Odile Sankara.
Quest’artista di cinema e teatro – sorella di Thomas Sankara, il presidente del Burkina Faso ucciso nel 1984 – si è specializzata nel raccogliere e raccontare storie popolari. Nel 1992 ha creato insieme ad altre donne l’Associazione “Talents de femmes” attraverso la quale si impegna nel coniugare il cambiamento creativo, la tradizione e un alto senso della libertà femminile.
Il laboratorio comincerà sabato 23 alle 9,30 e terminerà domenica 24 alle ore 16, con pernottamento presso la CasaLaboratorio. La quota di partecipazione è di 50 euro, comprensive di vitto e alloggio (portare lenzuola e coperte o sacco a pelo).
Per informazioni e prenotazioni contattare: Luca 329/6047007 o Chiara 349/7726495.
Tutti gli appuntamenti
L’artista di cinema e teatro, Odile Sankara, sorella del Presidente del Burkina Faso Thomas Sankara ucciso nel 1987, torna a Parma ospite dell’associazione Cibopertutti per una serie di iniziative.
E’ possibile incontrarla domenica 24 giugno alle ore 21 nella sede di Legambiente in vicolo S.Maria a Parma, all’iniziativa “Visioni sul futuro dell’Africa”, un dibattito aperto con le associazioni africane sulle modalità di collaborazione con i movimenti e la società civile che sta attivandosi sulla sovranità alimentare. Sarà proiettato anche un video su alcune attività che si stanno svolgendo in Camerun a questo proposito. L’iniziativa è organizzata dall’associazione Cibopertutti con Le Reseau nell’ambito dei progetti Kuminda 2007 e Semi di futuro con il sostegno di Forum Solidarietà e Fondazione Cariparma.
Inoltre l’artista metterà in scena lo spettacolo “Nous verrons bien-secondo il discorso di addio di Re Behanzin” durante l’iniziativa “Parole di una donna per cantare il destino di un continente offeso” organizzato dall’associazione Le Reseau e Istituzione Biblioteche del Comune di Parma, lunedì 25 giugno alle ore 21.30 presso il Cortile della Biblioteca Civica in vicolo S. Maria.
Mentre da sabato 23 giugno alle ore 9.30 a domenica 24 giugno alle ore 16 è possibile partecipare a “Sulla scena del mondo”, un percorso teatrale con l’artista che si svolgerà nella Casa Laboratorio dell’Asinara in via del Traglione 221 a Casaltone, Parma. L’iniziativa è organizzata dall’associazione Cibopertutti, Le Reseau, Kwa Dunia e Vagamonde.
Vi aspettiamo numerosi.
Ha risollevato l’economia restituendo dignità al suo Paese. Per la premier Luisa Diogo l’Africa può farcela
Raffaella Menichini
Fortune l’ha definita una delle cento donne più potenti del pianeta. Time l’ha inserita nella lista dei leader più influenti del mondo. Lei, Luisa Dias Diogo, indossa il potere con la sicurezza di un manager e la luminosità dei suoi abiti africani. Prima donna capo di governo in Mozambico, entrata in carica nel 2004 ad appena 45 anni e unica leader politica d’Africa insieme alla presidente della Liberia Ellen Johnson-Sirleaf, ha portato in pochi anni il suo Paese dal sottosviluppo a ritmi di crescita paragonabili a quelli delle “tigri” asiatiche. Se il reddito pro capite del Mozambico è raddoppiato negli ultimi dieci anni, il merito è anche e soprattutto suo: economista, già ministro delle Finanze ed esperta della Banca Mondiale, membro della commissione ristretta sulla riforma delle Nazioni Unite, Diogo è abituata a muoversi tra i grandi numeri della finanza e i nomi che contano della politica internazionale. Allo stesso tempo, conosce esattamente la vita di un contadino mozambicano, la sua fatica, i suoi bisogni. Soprattutto, sa riconoscere il valore meno visibile: il lavoro e il sapere delle donne, che considera l’arma per risolvere la povertà del continente. Di più: per fare di un Paese povero un Paese competitivo. “Tutto ruota intorno alle donne, loro sono la soluzione. Bisogna solo creare lo spazio perché possano dimostrare le loro capacità e potere. Il resto è semplice”. Ma “semplice”, in Mozambico, non è una parola d’uso comune. Il Paese è stato devastato, negli ultimissimi mesi, da catastrofi ambientali e umanitarie che avrebbero messo in ginocchio una potenza mondiale. Le inondazioni hanno devastato la zona centrale: una sessantina le vittime, oltre 120mila gli sfollati. Dopo di che il violento ciclone Favio ha colpito il Sud, proprio dove sono sorti, negli ultimi anni, molti resort turistici. La stessa zona è ciclicamente colpita dalla siccità, vero flagello dell’ex colonia portoghese che, per farvi fronte, deve ricorrere agli aiuti internazionali. E ancora, le piaghe della guerra, che aprono squarci dolorosi anche a distanza di tanti anni: per esempio la grande esplosione in un silos di armi abbandonato, che ha ucciso 101 persone e riportato alla memoria le ferite di 16 anni di sanguinoso conflitto civile. Una guerra che Diogo, militante del partito socialista Frelimo, non ha combattuto per motivi anagrafici. Il che la rende ancora più unica: non legata al dualismo distruttivo di quell’epoca, è una delle prime leader della nuova generazione mozambicana pronta a guardare al futuro. “Il nostro è un Paese vulnerabile e bellissimo, potenzialmente ricco”, dice, con passione, quando la incontriamo in una pausa tra le sue molte battaglie. È stata invitata a Roma a partecipare alla trentesima sessione del Governing Council dell’Ifad (international Fund for Agricultural Development), unico organismo finanziario delle Nazioni Unite che porta avanti nove progetti di aiuti allo sviluppo rurale in Mozambico: negli ultimi 14 anni ha investito nel Paese oltre 140 milioni di dollari. Diogo affronta i recenti disastri con piglio deciso e pragmatico. “Le alluvioni del 2001 furono utili per farci migliorare la sicurezza e la prevenzione. Andai nelle zone colpite: era un incubo, non c’era coordinamento, nessuno sapeva cosa fare, dove portare i senzatetto, come proteggerli dalle epidemie, come nutrirli. Ora tutto è cambiato. Abbiamo un sistema di allerta collegato con le agenzie ambientali dell’Onu, che ci dà informazioni sulla possibilità di inondazioni o siccità. A ottobre ci è arrivato l’allarme, e abbiamo messo a punto il piano d’emergenza. Ci ha permesso di limitare i danni, ma soprattutto di coinvolgere in tempo la popolazione, farle capire perché doveva lasciare le case e come avrebbe potuto continuare a lavorare i campi nelle zone a rischio. Abbiamo centri d’accoglienza, scuole dove i figli degli sfollati hanno priorità nell’iscrizione e centri di distribuzione di cibo, acqua, assistenza”. L’aiuto della comunità internazionale è necessario. “I Paesi donatori sanno che siamo seri: chiediamo solo se è inevitabile”. La strategia di Luisa Il Mozambico ha subito una piccola rivoluzione strutturale negli ultimi anni, grazie a questa donna instancabile, che non lavora solo per il suo Paese: l’Onu l’ha incaricata di delineare una strategia che permetta ai Paesi più poveri di coinvolgere l’imprenditoria privata negli obiettivi di sviluppo. “Sappiamo cosa può fare la natura. Le inondazioni sono cicliche, arrivano in media ogni cinque anni. La siccità, anche. Quindi ci prepariamo, siamo flessibili: dighe e gestione idrica sono i rimedi possibili. Prodotti specifici per combattere la siccità che, paradossalmente, ora è l’emergenza maggiore: dobbiamo nutrire centomila persone”. La strategia di Luisa Diogo ha un obiettivo: ridurre la povertà, modernizzando il Mozambico. “Il nostro piano ha tre aspetti essenziali: istruzione, assistenza sanitaria, lavoro per tutti. Per questo abbiamo bisogno di un misto di pubblico e privato. Sono pubbliche tutte le infrastrutture, le comunicazioni e le telecomunicazioni. I privati vanno incoraggiati a investire, a creare occupazione. Perché questo accada, abbiamo avviato una grande battaglia contro la corruzione, autentica piaga del Mozambico. E qui veniamo al secondo piano, quello del buon governo, ovvero: trasparenza del sistema giudiziario e decentramento. Il mio è un Paese molto bello ma assai difficile da amministrare. L’abbiamo diviso in 40 distretti, con finanziamenti locali che funzionano in modo eccezionale, investimenti molto più efficienti e una spesa pubblica distribuita in modo più adatto alle esigenze locali”. La premier non è donna da fermarsi davanti al grande tabù dell’Africa, l’Aids, che sta bloccando lo sviluppo di Paesi a lei vicini e con grandi potenzialità: uno su tutti il Sudafrica, che si rifiuta di riconoscere e affrontare l’emergenza. Per Diogo, l’Aids è una perdita economica, e come tale va affrontata. “È un problema enorme, uno dei rischi maggiori per il nostro sviluppo. Il tasso di infezione è del 16,8 per cento. Muoiono insegnanti, infermieri. In totale, stiamo perdendo l’1 per cento del Pil a causa delle morti o delle inabilità per Hiv. Avevamo un tasso di crescita dell’8-9 per cento, ora siamo sul 7-8. Nelle aree dove l’Aids è più diffuso, la produttività è molto bassa”. Leadership e futuro (femminile) Le risorse del Mozambico sono soprattutto le sue donne e i suoi uomini: le loro capacità vanno valorizzate, potenziate, usate. “Ci sono priorità trasversali, prima tra tutte la questione femminile. Il premier è una signora, deve essere una priorità per forza”, dice Diogo con una gran risata. “E settori che vanno potenziati, da quello della difesa alla gestione dell’emergenza”. Liberia e Mozambico: che ci siano due donne alla guida di altrettanti importanti Paesi africani è incoraggiante, ma Diogo non vi legge un segno di svolta o, quantomeno, non il più interessante. “È sempre utile che le ragazze abbiano punti di riferimento durante la crescita, qualcosa che dia loro la forza di uscire e dire: posso farcela. Ma la questione non è solo avere o meno un presidente donna. Dobbiamo andare sul terreno, verificare le condizioni reali. Il 70 per cento della popolazione mozambicana lavora nell’agricoltura: andiamo a vedere quali sono le condizioni delle donne contadine, come funziona la loro istruzione, come nutrono ed educano i bambini, come si comportano quando hanno pochi soldi e devono scegliere chi far studiare. Mettiamo che il bambino sia stupido e la bambina intelligente: la famiglia sceglierà di far studiare lei o il fratello? E salendo di livello: come vengono fatte le scelte di genere nella leadership dell’apparato statale? E nelle professioni? Quando sono entrata al ministero delle Finanze, soltanto il 12 per cento delle posizioni dirigenziali erano occupate da donne. Quando sono andata via, avevano superato il 50 per cento. Ma non ho fatto niente di speciale: avevo a disposizione persone competenti, brillanti e ho dato loro opportunità e spazi per dimostrarlo. Le africane sono molto potenti, anche se non lo danno a vedere”. O, forse, non lo sanno. Racconta Diogo con un gran sorriso: “Nel 2005 sono andata in un piccolo villaggio nel Sud, a discutere della siccità che stava devastando l’area. Il governatore mi ha presentata alla comunità locale: “Ecco il primo ministro”. Un’anziana signora si è alzata: era forte, le sue erano mani da contadina. Ha cominciato a gridare: “Mi avete mentito, mi avete sempre mentito!”. Noi la guardavamo allibiti, e lei: “Non sapevo di essere così potente!”. A 60 anni aveva incontrato me, e aveva capito che una donna, in Africa, può farcela”.
La conferenza di Bamako si chiude con la promessa di un stanziamento di 10 milioni di euro nel 2007 destinati a progetti legati allo sviluppo. Dieci volte di più di quanto investito fino a oggi
Stefano Liberti – inviato a Bamako
Un nuovo patto tra l’Italia e l’Africa. Con una dichiarazione che vuole essere un impegno da parte italiana, si è chiuso ieri nella capitale maliana Bamako l’incontro «Le donne protagoniste: dialogo fra i paesi dell’Africa occidentale e la cooperazione italiana». Un incontro che ha visto la partecipazione di un migliaio di donne provenienti da tutta la sub-regione, molte con incarichi di governo, molte altre a rappresentare una società civile che negli ultimi anni si è caratterizzata per il proprio attivismo e per il proprio desiderio di avere un ruolo attivo nei processi di decisione politica.
A concludere la due giorni in una sala molto affollata, la vice-ministra degli esteri con delega per la cooperazione Patrizia Sentinelli ha annunciato un piano d’azione per gli interventi futuri, che si propone di recepire le varie richieste e i desiderata emersi dai panel e dagli incontri.
L’incontro non era una conferenza di donatori, ma le cifre sono state comunque messe sul terreno. «Si partirà – assicura Sentinelli in conferenza stampa – da 10-15 milioni di euro per il 2007». Una cifra consistente, se si tiene conto che è di poco inferiore a quella stanziata per la cooperazione in aree prioritarie per la politica estera italiana, come il Libano e l’Afghanistan. E se si tiene conto, soprattutto, che l’ammontare annunciato moltiplica di fatto per dieci la portata degli interventi della nostra cooperazione nell’area dell’Africa occidentale.
Come verranno implementati questi progetti? L’idea consiste nel versare i fondi alle unità tecniche locali di Ouagadougou (in Burkina Faso) e Dakar (in Senegal), dove con bandi di concorso ad hoc verranno finanziati progetti di organizzazioni locali. Una cooperazione dunque decentrata, che privilegia il rapporto con le società civili. E che si concentrerà sui quattro assi tematici su cui si è discusso durante la conferenza: governance e conflitti; migrazioni; lotta alla povertà ed empowerment economico; salute, violenza e diritti umani delle donne. Per realizzare questo piano, la direzione generale della cooperazione allo sviluppo (Dgcs) prevede di avviare entro l’anno una sorta di Gender task force operativa che si articolerà tra l’Italia e le due città dell’Africa occidentale sedi delle unità tecniche.
Un piano ambizioso, dai contorni ancora abbozzati, che implica tuttavia un forte impegno economico e un preciso orientamento politico. Alcuni punti emersi durante la conferenza segnano una forte soluzione di continuità con le linee guida dell’Unione europea, almeno su due punti: gli accordi di partenariato economico (Epa), che i governi del Nord cercano in fretta e furia di firmare con quelli del sud per garantire l’accesso delle proprie merci ai loro mercati; e la migrazione. Sugli Epa, denunciati da tempo da gran parte delle associazioni contadine dell’Africa (e in particolare da Roppa, la grande rete di organizzazioni dell’Africa occidentale), Sentinelli è stata abbastanza chiara. «Bisogna seguire il processo negoziale per approfondire la riflessione mirata anche ad una loro maggiore flessibilità», ha affermato. Una dichiarazione diplomatica per esprimere il desiderio di imprimere ai negoziati su questi accordi una battuta d’arresto. Sulle migrazioni, «non è possibile considerare il problema solo da un punto di vista securitario. Bisogna privilegiare la libera scelta delle persone di progredire nel proprio paese o di spostarsi altrove».
Se resta da vedere quanto lontano ci si potrà spingere su questi punti politicamente delicati, un risultato immediato la conferenza di Bamako l’ha avuto: quella di proiettare l’Italia – scarsamente presente a livello diplomatico in Africa occidentale – al ruolo di portavoce delle istanze delle società civili di questi paesi a livello europeo. Molti dei partecipanti lo hanno ripetuto con forza, lamentando allo stesso tempo la scarsa capacità d’azione della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao-Ecowas), l’area di libera circolazione e libero scambio che riunisce tutti i paesi dell’area. «La Cedeao è un guscio vuoto – assicura a margine una donna di una ong senegalese, E’ triste che per fare questi incontri, abbiamo sempre bisogno di uno stimolo da parte di qualche paese del Nord».
“Nello stato attuale gli accordi di partenariato economico voluti dalla Ue sarebbero un altro disastro”
S. Li.
Diéneba Diallo è la rappresentante della confederazione contadina del Burkina Faso, associata a Roppa (Réseau des organisations paysannes et des producteurs de l’Afrique de l’Ouest), grande consorzio di associazioni agricole molto attive e combattive sul piano della sovranità alimentare e della lotta contro i famigerati Epa (Accordi di partenariato economico) che l’Unione europea vuole firmare con i paesi del Sud.
Si è appena concluso a Selingué, nel sud del Mali, il forum sulla sovranità alimentare. Di sovranità alimentare si parla oggi al convegno di Bamako. Qual è la vostra posizione?
Finché non avremo la possibilità di mangiare a sazietà, non potremo dire di vivere in una democrazia. Oggi, la concorrenza dei prodotti agricoli europei e asiatici uccide i nostri mercati; ci lascia letteralmente senza nulla in mano. Vi faccio una semplice domanda: perché gente senza un reale potere d’acquisto dovrebbe comprare un litro di latte da me che lo vendo a 350 franchi Cfa (poco più di mezzo euro) se qualcun altro viene da fuori e lo vende a 100-150 Cfa?
Sta accusando l’Unione europea di fare concorrenza sleale?
Diversi paesi invadono i nostri mercati e distruggono la nostra competitività. Il caso del cotone è il più noto: con le loro sovvenzioni ai produttori, Stati uniti e Unione europea rendono la nostra produzione non competitiva. Loro sanno benissimo che i nostri governi non possono sovvenzionare gli agricoltori. Si tratta di una reale ingiustizia.
Oltre alla concorrenza europea, c’è anche il problema del mancato funzionamento dell’area di libero scambio dell’Africa occidentale (Cedeao). Perché non funziona?
La produzione della Cedeao è al momento principalmente orientata all’esportazione. Se facciamo il confronto, l’Ue destina al suo mercato interno circa il 75 per cento della produzione agricola. La Cedeao è ha un livello molto più basso, tra l’8 e il 13 per cento. Il caso del cotone è eclatante: il 95 per cento della nostra produzione va all’estero. Dobbiamo sviluppare il nostro mercato interno. E per farlo dobbiamo respingere gli Epa, gli accordi che Bruxelles vuole imporre ai nostri governi.
Come pensate di opporvi agli Epa?
Si tratta di un problema eminentemente politico. Ed è per questo che faremo delle azioni politiche per impedire la firma di questi accordi. Già siamo stati indeboliti dagli accordi di aggiustamento strutturale imposti negli anni Novanta dalla Banca mondiale. Da allora, l’Africa occidentale è sempre più dipendente a livello agricolo. Nello stato attuale, degli accordi di partenariato economico sarebbero un ulteriore disastro.
Che cosa proponete per sviluppare il mercato interno?
Bisogna imporre nuove dazi doganali, proteggere i nostri mercati, come si fa in tutte le aree del mondo. Attraverso questa protezione dobbiamo raggiungere la sovranità alimentare. Ci deve essere un impegno politico degli stati a definire una politica necessaria per produrre ciò di cui i cittadini hanno bisogno per nutrirsi.
Nella capitale maliana una delegazione della Farnesina cerca di imparare qualcosa dal nuovo protagonismo femminile dell’area. Applausi per la star dell’altermondialismo africano Aminata Traoré, in lotta contro la globalizzazione che saccheggia
Stefano Liberti – Inviato a Bamako
“La globalizzazione esclude l’Africa. Ma l’Africa viene letteralmente saccheggiata dalla globalizzazione dei mercati”. La frase risuona nell’anfiteatro. Sbattono mani. Vengono intonati anche gli youyou, i gridolini ripetuti con cui le donne festanti usano esprimere il loro entusiasmo da queste parti. Una suonatrice di tamburi si lancia in un assolo trascinante. Aminata Traoré, ex ministra della cultura maliana, star dell’altermondialismo africano, ha appena concluso il suo intervento alla conferenza “Le donne protagoniste: dialogo fra i paesi dell’Africa occidentale e la cooperazione italiana”. La folla nell’anfiteatro del centro di congressi di Bamako, adagiato sulle rive dell’imponente fiume Niger, è in tripudio.
Una folla costituita per il 90 per cento da donne dell’Africa occidentale: delegazioni venute dal Senegal, dal Burkina Faso, dal Camerun, dalla Sierra Leone, dal Chad, dalla Mauritania, e da tutti gli altri paesi dell’area per un incontro abbastanza inusuale: in un quadro del tutto istituzionale, la società civile femminile della sub-regione prende la parola. E vuole farlo da protagonista.
Lo aveva detto in apertura la vice-ministra degli esteri con delega per la cooperazione internazionale Patrizia Sentinelli: “Siamo venuti qui per ascoltarvi e per imparare da voi”. Accanto a una schiera di ministre di tutta la sub-regione, attivisti e organizzazioni vogliono confrontarsi tra loro e con il vicino del Nord. Vogliono discutere con “quell’Italia che ha deciso di venire qui da noi, e vedere la situazione sul terreno”, come ha detto il presidente maliano Amadou Toumani Touré nel suo saluto all’inizio della mattinata.
L’evento segna una rottura netta con un passato di cooperazione fatto di assistenzialismo e buoni propositi, viziato però spesso da una scarsa attenzione per i reali interessi e bisogni delle popolazioni a cui i vari progetti erano indirizzati. Una cooperazione che si interroga sul suo futuro, sul suo senso e sulle sue pratiche. “Questa conferenza – aggiunge Sentinelli dal palco – si inserisce in un momento di particolare interesse per la cooperazione italiana che sta affrontando una riforma strutturale e che si è data l’impegno di agire con maggiore efficacia all’interno del contesto internazionale”.
I temi più scottanti
Così sfilano i delegati. Si affrontano i temi – anche i più scottanti – del divario Nord-Sud: gli accordi di partenariato economico (Epa) che Bruxelles vorrebbe imporre ai paesi terzi; le sovvenzioni agli agricoltori che i governi statunitense ed europei versano ai loro produttori agricoli uccidendo i mercati nel Sud; l’emigrazione, vista con fastidio a Nord ma reale fonte di sviluppo per il Mali e per altri paesi della regione grazie alle rimesse.
Un punto, quest’ultimo, citato dal presidente Touré, ma su cui poi martella Aminata Traoré, che da anni segue con attenzione e sgomento le evoluzioni delle rotte migratorie, le tragedie associate alla chiusura progressiva e letale delle frontiere europee. E che da anni non smette di denunciare lo scarso interesse con cui si affronta la questione nelle stanze della Commissione europea. “I viaggi della speranza verso l’Europa hanno già causato almeno 5mila morti negli ultimi anni” tuona la leader alter-mondialista. “Sono molti di più delle vittime dell’11 settembre a New York. Ma nessun ha mai osservato un minuto di silenzio per questi cadaveri dimenticati, rimasti spesso in fondo al mare”.
Migrazione fa rima con spoliazione, secondo Aminata e secondo molti dei partecipanti. Finché il Nord dà con la mano degli aiuti allo sviluppo ciò che leva con quella del dumping commerciale, i giovani africani non potranno far altro che partire, fuggire da una vita senza migliori prospettive. “L’Africa è così ridotta perché la globalizzazione neo-liberale esige la spoliazione del Sud”, conclude vibrante l’ex ministra della cultura, mentre centinaia di donne applaudono convinte, si alzano per andarle a stringere la mano, gridano il loro desiderio di rivalsa.
Il tasso di partecipazione è elevato; chiara la percezione delle priorità politiche, tanto da parte del Sud (“no agli Epa, sì a un partenariato equo e paritario”) che dall’Italia (“In Africa, e in particolare in Africa occidentale, la sfida per il miglioramento della qualità della vita passa attraverso la lotta alla discriminazione nei confronti delle donne”, sottolinea Sentinelli). Tutti temi già emersi a Bamako l’anno passato nel corso della tappa africana del Forum sociale mondiale policentrico e ribaditi a fine gennaio al Forum sociale di Nairobi.
Per imporre la propria agenda
Una società civile africana sembra aver preso forma, convinta di voler imporre a propria agenda ai governanti. E a questa società civile la Divisione generale della Cooperazione ha deciso di dare ascolto, con una scaletta di interventi rivolti soprattutto alle donne.
Quindi, attenzione prioritaria alle politiche di genere, a programmi di sviluppo per micro-credito femminile; alla lotta contro le mutilazioni genitali. Le partecipanti sono la voce viva di un’Africa che vuole rialzare la testa e che rifiuta la visione miserabilista di fucina di malattie e di sottosviluppo veicolata dai media del Nord.
Un’Africa che è spesso accusata di essere la responsabile di tutti i propri mali, funestata da guerre civili e da governanti corrotti. “Sì, i nostri governanti sono corrotti – chiosa Aminata -. Ma non ci sono corrotti senza corruttori”.